“La scultura è la forma d’arte più completa”
Artemio Loretelli è nato ad Arcevia, nel 1956. Ha compiuto i suoi studi presso l’Istituto d’Arte di Fano dove ottiene il diploma in Arte del legno e la maturità in Arte dei metalli e oreficeria. Dopo varie esperienze in diverse attività artistiche: fotografia, disegno industriale, grafica e pittura, dal 1997 si dedica alla scultura in pietra arenaria, marmo e bronzo. Sue opere sono presenti in numerose collezioni pubbliche e private. Vive e lavora a Pergola.
In che cosa consiste la “disposizione artistica” di Artemio, il suo inquieto, e inquietante, girovagare intorno ai materiali che formano l’oggetto delle sue manipolazioni? Inquieto a dispetto del gradevole figurativismo degli “oggetti” prodotti; inquietante a giudicare dagli sguardi che essi, a volte, si astengono dal corrispondere.
Si domandi ad Artemio come fa a scolpire i suoi pezzi. Invariabilmente risponderà “a partire dal naso”. Il resto è mera conseguenza.
Gli abbiamo domandato molte altre cose…
La tua personale definizione d’Arte?
L’Arte è una cosa bella che non serve a niente. Non deve servire a nulla. Una cosa che serve, che è utile, diventa artigianato. L’Arte va guardata, ammirata, amata.
Leggendo la tua biografia ti sei cimentato, prima di giungere alla scultura, ad altre forme d’Arte. Come consideri la scultura rispetto alle altre?
La considero la forma d’arte più completa. Hai con la scultura la possibilità di lavorare sul tuttotondo. Nelle altre forme d’arte tu hai una bidimensionalità, nella scultura hai la tridimensionalità, la profondità, il dietro, un avanti.
La tua scultura è figurativa?
Non faccio la distinzione tra figurativo e informale, che è esso stesso figurativo, solo che è distorto. Come non trovo differenze con il concettuale. Io faccio spontaneamente quello che penso. Intervengo concettualmente su di un’opera d’arte figurativa.
Nei tuoi bronzetti, ad esempio, alle donne raffigurate neghi lo sguardo?
Lavoro molto sul nudo di donna e a molte con degli elmi, dei copricapo, ho negato lo sguardo. E’ simbolico sul ruolo della donna, generatrice degli stessi uomini, ma che la storia non le ha reso adeguata giustizia. Le donne hanno subito troppe angherie, troppi tabù circolano attorno a loro, troppi dettami religiosi le hanno private della libertà. Hanno patito molto. Si sente il loro dolore.
Perché la scelta del nudo?
Il nudo è raccontare sempre la verità, non ha fronzoli. E’ quello che vedi, senza orpelli, senza vestiti. E’ pura verità.
La tua prima scultura in bronzo era un busto di Don Giovanni Carboni. Affronti anche tematiche religiose?
La maggior parte dei busti di uomini religiosi mi sono stati commissionati.
Purtroppo ciò che ha ucciso la scultura è stata proprio l’arte funeraria. Nell’800 gli scultori non hanno fatto altro che fare i cimiteri, le tombe. Quando ti chiedono una statua, devi rappresentare sempre un personaggio che è morto. Di conseguenza uno scultore è come se rappresentasse sempre la morte. Fortunatamente dal dopoguerra non è più così, la scultura si è liberata di questa pesantezza, è caduto un po’ in disuso il monumento al personaggio famoso deceduto. Ma ancora qualche residuo è rimasto. Così spesso mi capita che mi chiedano di realizzare la statua di un Santo, un Cardinale…
I materiali che usi?
Ho cominciato con la pietra, il legno, poi la terracotta e ultimamente lavoro in bronzo soprattutto opere di piccolo formato. Certi materiali, come la pietra e il legno, tu li scolpisci, cioè togli loro il superfluo, togli il materiale. Mentre quando lavori la terracotta o il bronzo lavori modellando, all’inizio creta o cera, e poi aggiungi materiale. E’ un approccio diverso. Da una parte inizi da una forma e cominci a togliere e dall’altra si parte dal nulla. Ma io mi sento scultore così spesso mi faccio un blocco di creta o di cera e comincio a togliere…
Hai parlato dell’utilità dell’Arte che diventa Artigianato. Ti senti più artista o artigiano?
Mi sento un artista perché creo opere d’arte. Profondamente artista.
Come ha avuto inizio il tuo percorso da artista?
Ho sempre disegnato, ero bravo in disegno a scuola, poi feci la Scuola d’Arte. Tre anni arte del legno e poi per due anni l’arte dei metalli e oreficeria. Poi sono andato a Venezia e ho fatto Architettura, come professori avevo nomi importanti che mi permisero di farmi conoscere. E poi era come predestinato, da piccolino dicevo sempre che da grande avrei fatto l’artista.
E così è stato…passando inizialmente per altre forme d’arte, come la fotografia.
Ho una passione per la fotografia. Una delle serie delle mie sculture son dedicate a Mapplethorpe. Ho voluto trasformare alcune sue foto in sculture, dandogli quella profondità e quella tridimensionalità che ovviamente la fotografia non può dare. Nel lavoro di questo grande fotografo ho trovato molte similitudini con la mia arte. Lo stesso modo di vedere i corpi, la sensualità.
Un nome che ti ha ispirato?
Camille Cloudel, modella, allieva di Aguste Rodin, sua musa ispiratrice. Si mise a lavorare in proprio e divenne lei la nuova fautrice dell’arte scultorea della fine dell’800, poi purtroppo è impazzita ed è stata rinchiusa in manicomio, ma le sue opere sono quelle che mi hanno fatto venir voglia di lavorare su certe tematiche, su certe forme.
Hai studiato a Venezia, ma hai sempre lavorato nelle Marche. Non la trovi una Regione un po’ dormiente dal punto di vista artistico?
E’ povera di gallerie che lavorano a grandi livelli. Ci sono solo piccole gallerie che si fermano agli artisti locali o ai grandi nomi internazionali. Manca totalmente una promozione delle nuove tendenze.
Questo è grave, è come dire che non c’è mercato.
E’ così. Si può lavorare se le amministrazioni locali ti prendono in simpatia. Lì subentra un discorso politico e i nomi che fanno girare poi son sempre quelli. Se entri a far parte del giro è fatta.
Un sogno da realizzare?
Avere un blocco di 5 metri di marmo bianco di Carrara e aver la forza di lavorarlo…
le.st.