Freak Antoni, fondatore degli Skiantos
Ha scritto di lui Michele Serra:
“le migliori menti della mia generazione – dicono – sono state distrutte dalla politica e dalla droga. Ma non è vero. Le migliori menti della mia generazione sono state distrutte dal professionismo. Possibili poeti, scrittori, pittori, musicisti, sono diventati copy, designer, giornalisti, ospiti televisivi. Roberto Antoni è un micidiale dilettante (uno che si diletta) e per questo mi piace e gli voglio bene. Ha fatto di tutto (il rock, la televisione, il teatro, i dischi) senza diventare né un rocker, né un personaggio televisivo né un attore. Se avesse guadagnato miliardi non sarebbe un ricco e se tutti lo riconoscessero per strada non sarebbe uno famoso. Perché sarebbe un dilettante anche come ricco e anche come persona famosa. Le sue poesie riflettono, mi sembra, soprattutto la sua lontananza dal mostruoso sussiego del modo di vivere contemporaneo: che è, a ben vedere, il vero “demenziale”. Alcune poesie sono tristissime, altre molto allegre. Alcune bellissime. Sono, comunque, le poesie del vecchio Freak Antoni. Che il Grande Mario (dio dei distanti) ce lo conservi”.
Roberto Freak Antoni, fondatore degli Skiantos, ci ha lasciato nel febbraio del 2014. Il suo ultimo concerto lo tenne a Senigallia, dove si esibì con la Freak Flag a settembre nella sede di Confluenze. In città era solito fare qualche capatina dove aveva molti amici.
Di lui ricordiamo uno dei suoi tanti scritti demenziali, lapsus e castronerie tratto da Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti:
“Andò in ospedale per farsi un Ketckup e i raggi ultraviolenti. Gli dissero che la sua malattia diventava cronaca e che si astenesse alle prescrizioni della ricetta. Aveva una brutta altrite cerebrale e voleva anche curarsi la sinusoide. Gli trovarono i tricicli nel sangue e lo definirono cardoepatico
Gli esplose un hermes in faccia, cioè aveva una brutta erezione cutanea. Gli misero lo Sky-pass al cuore e gli scoprirono il polistirolo alto, gli abeti alti e il nervo asiatico. Lui si mise in un certo paté d’animo. Aveva dei problemi di circonvallazione e un’infiammazione al ventriloquo sinistro, anche un dolore uncinante al dente del giudizio e una trombosi cervicale.
Morì X un cactus celebrale. Era un cerebrolesso che faceva molto trekin autogeno nonostante un playmaker al cuore, delle febbri eccitanti…
Santuariamente amava provare la brezza della velocità. Quell’avvertimento gli servì da monitor. Accese il bolider della doccia e aspettò che l’acqua fosse calda. Al bar chiedeva sempre un coptel poco alcolico e spesso ordinava anche dell’acqua atomica o meglio acqua brigante. Passò all’amaro micidiale Giuliani ma gli capitò di bere della birra fredda e gli venne una combustione.
Andava matto per le vongole voraci e i funghi champenois . Portava calzoni di velluto a croste e Sahariane rosa shopping. Aveva una capriolé (spider che fa le capriole) e pensava di essere un tipo molto fotoigenico, così originale, imprevedibile ed estrogeno”.