I villini in terra battuta che hanno fatto nascere Marzocca
Giò Fiorenzi racconta di suo padre. Suo il merito della nascita di Marzocca. Grazie ad un’idea ingegnosa e fortemente innnovativa sono stati costruiti i villini che ora valgono oro, ma negli anni ’30 costavano quanto una radio.
di Leonardo Badioli
Leggo sulla base del monumento a Ubaldo Fiorenzi che Marzocca gli è grata. Perché? Cosa ha fatto quest’uomo per meritarsi tanta riconoscenza?
“Le casseforme! Adesso ti racconto. Mio padre è capitato a Marzocca nel ’25. Noi siamo tutti di Osimo. La casa di papà era quella attaccata al duomo: un seicento piuttosto buono. Il conte Fiorenzi, di Monte Cerno, a tre chilometri, una villa del settecento molto bella, con un grande bosco, tutto sul tufo. Osimo è bellissima. Bene, mio padre aveva in mente un’idea innovativa da applicare alle costruzioni, casseforme con un impasto di cemento e ghiaia; la ghiaia doveva avere una granulometria molto minuta e doveva essere tanta, e voleva costruire delle case a un prezzo buono, abbordabile da tutti. Quando è venuto qui a Marzocca (lui era agronomo e ci veniva per valutare i danni della grandine) è andato sulla spiaggia, ha visto la ghiaia e ha trovato che ce n’era per più di due metri di profondità, della finezza richiesta. Così ha venduto le cose di Osimo e ha comprato dal principe Ruspoli, dove non c’era niente, tre case di pescatori e quella dove si fermava Pio IX, l’osteria, davanti una casona dove c’era il passaggio a livello, che era del conte Carotti – ci mandava i contadini quando erano stanchi in convalescenza in questa casona. Ha comprato – e si è buttato a capofitto in questo lavoro insieme con un socio, l’ingegner Spilimbergo. Si sono entusiasmati: a lui piaceva moltissimo quell’avventura; e hanno cominciato a costruire i villini: i villini di Marzocca. Senigallia era già allora una spiaggia affermata per la villeggiatura, ma qui non c’era niente, non si fermava neanche il treno.”
Una cosa da pionieri…
“Hanno cominciato a costruire proprio qui davanti, perché aveva comprato la terra dal mare fino a metà costa, non fino all’autostrada ma quasi. Ha costruito prima casa nostra, in terra battuta. Era questa un’altra cosa che piaceva a lui, perché era ingegnosissimo. Questa casa è costruita con blocchi di terra battuta e poi ha cominciato a costruire questi villini con le casseforme: prima prendeva la ghiaia dalla spiaggia (perché allora era permesso farlo), la lavava molto bene – il segreto era quello, lavare benissimo la ghiaia, che non ci fosse salsedine – impastava col cemento, facevano le fondamenta con i montanti in ferro, ai lati, e poi venivano accostate le casseforme dove erano previste le porte, le finestre, tutto nelle casseforme, e gli armadi a muro. Veniva prima gettato uno strato di un metro; poi arrivati alle finestre, si cambiavano le casseforme con quelle adatte alle finestre e per gli armadi a muro; poi si arrivava al cordolo finale e veniva fatto il tetto. E si passava alla seconda casa. Ogni casa aveva il pozzo, era recintata e ammobiliata alla leggera – mio padre era ossessionato che poi li arredassero male; quindi ci metteva i tavolini in stile fratino e tutte le porte degli armadi a muro le faceva fare dal falegname – ed erano villini che vendevano a cinque, dieci, quindicimila lire, che a quel tempo era il prezzo di una radio.”
Erano dunque prezzo molto bassi.
“Bassissimi. E ha messo gli annunci nei ministeri di Roma. Sono venuti in tanti a comprare e alcuni ne hanno comprati due, perché era veramente un affare. E Marzocca nel ’33 ha fatto anche un posto per ballare, una palafitta in mare, e ha regalato la terra per fare il bar di Marzocca. Per questo i marzocchini di oggi, che l’abitato è cresciuto fin quasi ad assumere le dimensioni di una cittadina, gli mostrano riconoscenza. Nel ’62 il sindaco Orciari, che era marzocchese, mi ha chiesto se volevo fare un busto a papà (Giò Fiorenzi è una nota scultrice) e volevano fare una festa di riconoscimento. La cosa mi ha fatto un piacere immenso. Ancora era viva mia madre ed è stata una cosa bellissima. Così è nata Marzocca. Mio padre poi ha messo a posto il Palazzetto Baviera (a Senigallia), e gli stucchi danneggiati dal terremoto.”
Gli elevati, le architetture le aveva fatte lui?
“Certo, lui con Spilimbergo. Ogni villino era completamente indipendente, con recinto e cancello. Al massimo quindicimila lire. Sono carinissimi.”
E hanno un andamento un po’ classicizzante
“Sì, come era il gusto di quei tempi. Eleganti. Quelli che non hanno rimaneggiato sono ancora apprezzabili. Purtroppo molti li hanno buttati giù per farci specie di pollai, li hanno trasformati.
E non hanno nessuna forma di tutela?
“Adesso sì. Non credo si possano buttare giù. Ma solo da pochi anni. Prima no, e hanno fatto tutto quello che potevano fare.”
I proprietari sono in generali gli stessi oppure sono cambiati?
“Molti sono cambiati. Molti sono gli stessi e se li tengono come l’oro; molti sono morti. Adesso ci stanno dentro non so dire in quanti. Dopo io mi sono talmente affezionata a questo luogo che ho detto: qualsiasi cosa facciano per abbellire Marzocca la regalo. E così ho fatto tutta la chiesa. L’hai vista la chiesa? Ci sono vari metriquadri di via crucis, un Sant’Antonio, un crocifisso, molte cose.”
La sua arte ha una filiazione dalla capacità plastica di suo padre? Il desiderio dell’arte le viene dall’esperienza infantile?
“Sì, sì, papà era molto appassionato della mia arte, entusiasta. Purtroppo è mancato giovanissimo. Anche lui in un incidente stradale, nel ’49. Stava andando in America con questo brevetto che gli Stati Uniti gli avevano riconosciuto. Avevamo tutto pronto, certificati, ogni cosa, perché questa tecnica aveva trovato là un grande apprezzamento, e quindi…”
Una specie di calcestruzzo?
“Le casseforme erano il pregio. Fare un calcestruzzo ci vuole poco, ma saperci prevedere dentro le finestre, le porte…Dopo purtroppo da Spilimbergo si è separato perché c’è stato un incidente sul lavoro, i sindacati hanno causato un sacco di grane alla ditta, e Spilimbergo aveva messo tutto a nome della moglie e non aveva una lira. Così papà si è dovuto vendere un terreno per affrontare le spese. Era un operaio. Aveva detto a papà: fammi fare una giornata. no, sono a posto non voglio nessuno. Lui ha insistito. E va bene, vai a cavare la ghiaia. In quel momento partiva un camion, lui s’è attaccato, si è messo sul pradellino; qua nel viale è scivolato ed è morto. E papà ha dovuto combattere perché questo non era in regola”.
E questa era la città sognata
“la città sognata da papà. E aveva proposto di mettere la ferrovia più all’interno. Il fratello di papà era ingegnere delle ferrovie e insieme avevano fatto tutto il progetto. Gli pareva di fare una cosa ragionevole perché la ferrovia rovina tutta la costa; spostata quella sarebbe stato tutto un villaggio che digradava al mare.”
Ma se lui vedesse adesso cos’è diventata Marzocca è difficile che gli piacerebbe.
“Non lo so: questa era il sogno, e indubbiamente la Marzocca di oggi gli somiglia poco. Questa era la stazione. Queste erano tutte le proposte pubblicitarie, di un candore oggi sconosciuto: Se venite risparmierete il capanno. Segnalavano anche i prezzi della carne, per invogliare i compratori: latte ottimo a domicilio 0,70; pane 1,20, e così via.”
I destinatari delle sue proposte erano una borghesia impiegatizia
“Una borghesia che non si poteva permettere una villa, ma solo un villino. Adesso lo benedicono tutti perché veramente…Li vendono a prezzi furibondi. Sono un centinaio di villini. Più o meno”
E poi questa tecnica non si è più usata?
“Eh no, perché papà non aveva discendenti. Abbiamo fatto anche un villaggio a Torrette nell’anno che papà è mancato, che io non so più trovare perché non so dov’è. Un villino per tutti: tre camere, bagno, cucina, grande veranda e giardino. Ottomila lire. Lo sai che alcuni non avevano finito di pagare le rate? Me l’hanno detto un signore mentre stavamo festeggiando. E ce n’era uno solo a due piani, perché era il generale Paolini. Adesso voglio fare un bell’album con le cose che ho trovato io.
Ma queste cassaforme erano veramente ingegnose
“Pensa che un villino, quando sono andati via i tedeschi, mia zia era un’anglofila, prima di sfollare, aveva affisso un biglietto in cui era scritto Welcome agli Inglesi. Invece risposero i tedeschi, hanno trovato il biglietto, hanno riempito la casa di dinamite e l’hanno fatta saltare. Sono saltati il tetto, le finestre, le porte, tutto, ma il blocco non s’è mosso, completamente intatto. Era un blocco davvero. Non era per niente divertente tentare di piantarci un chiodo. La macchina per pressare la terra, con la quale è stata costruita la casa in cui vivo adesso, faceva blocchi da 60 cm X 15 credo. Solo con la compressione la terra reggeva, non so a quante atmosfere. La casa è perfetta, non è umida, non è nè calda, nè fredda. D’estate è un paradiso.”
Molto interessante, mio nonno materno aveva comprato una casetta e raccontava che costava quanto una Balilla. Mia zia mi racconta sempre come si stava bene e mi ripete i nomi: Tuccimei, Fiorenzi ( e la bellissima villa sulla collina e due figlie) ed altri che non ricordo. Grazie per l’articolo che mi fa capire qualche cosa di quel mondo.
Oh, non avevo ancora letto questo commento. Con grande piacere leggo ora. Grazie per il contributo: la storia in effetti è una trama con tanti fili…
Sarei interessato ad entrare in contatto, mio nonno Carlo Brignone aveva il villino 511 e mia zia Giulia mi parlava sempre dei Tuccimei.Andrea
Mia zia mi parla sempre di Marzocca con molta nostalgia. Famiglia Brignone Ho delle foto delle Fiorenzi sul moscone.
Sono stato a trovare Giovanna due volte, ma non conosco bene le persone. Lei è brava scultrice e ammiro molto il suo lavoro nella chiesa. Ha anche regalato al Comune di Senigallia quella scultura delle vele che hanno messo nella rotatoria dove la Strada delle Saline incrocia via Tolomeo, ma non hanno messo neanche una targhetta col nome. Ho chiesto circa due anni fa all’assessorato che la mettessero, ma non mi hanno risposto. Riprovare?