IL DOCU-FILM HA PER PROTAGONISTA IL SENIGALLIESE KARIM FRANCESCHI
“Non so se vale la pena morire per queste cose. Sicuramente vale la pena rischiare di morire per queste cose” (Karim Franceschi)
Presentato alla 73esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Our War non è passato assolutamente inosservato: realizzato dal regista Bruno Chiaravalloti con l’ausilio di Benedetta Argentieri e Claudio Jampaglia,
il docu-film focalizza la propria attenzione sulla guerra in Siria tra curdi e Stato Islamico. Un’ora e poco più in cui si racconta l’avventura di tre giovani ragazzi – tra cui Karim Franceschi – avvicinatisi al fianco del popolo curdo a Kobane. Insieme al ragazzo ventisettenne di Senigallia, anche un giovane svedese e Joshua, ex soldato dell’esercito americano.
In “Our War”, grazie al lavoro di documentazione realizzato da Karim Franceschi nel corso delle sue giornate trascorse a Kobane, viene riportato il processo di organizzazione di questi giovani “foreign fighters” entrati a far parte del cosiddetto “YPG”, ovvero l’Unità di Protezione Popolare. La paura dei primissimi giorni, la consapevolezza di poter morire da un momento all’altro, l’adrenalina provata dal suono del proiettile. Giovani ragazzi alle prese con i primi capelli bianchi: come racconta lo stesso Franceschi, infatti, sono diversi i foreign fighters ad avere una chioma brizzolata. “È la paura”
Our War è un documentario di estrema attualità. Sbatte in faccia allo spettatore la triste “realtà” che si vive in Siria in questi anni e fa riflettere sulla forza, il coraggio di questi ragazzi, partiti alla volta di Kobane spinti da ideali differenti ma con un’unica finalità: liberare il popolo curdo. È un film politico, come testimoniato dagli stessi protagonisti di “Our War” che hanno sfilato sul red carpet di Venezia esibendo un lungo striscione di protesta contro Erdogan che tiene sotto scacco la Turchia: “Erdogan è un terrorista.”
La guerra viene definita come ‘nostra’. Di chi? Di noi tutti o solo di loro? Sui titoli di coda c’è una canzone di Eugenio Finardi che merita l’ascolto.