Vivere senza lusso ma con grande dignità
documento del primo Novecento
La nostra Senigallia, città mercato protetta nella cinta muraria, con il decadere della Fiera Franca, dalla metà dell’800, comincia ad “uscire” dalle mura sul litorale, sostituendo lentamente la sua vocazione all’accoglienza dei mercanti con l’accoglienza dei turisti; del resto la Fiera si svolgeva d’estate come il turismo balneare.
Sorge il Grand Hotel des Bains (Di V. Ghinelli 1853), come a Venezia e a Rimini, vengono edificate lungo la costa le dimore private estive. L’asse ferroviario (voluto da Pio IX) garantisce il raggiungimento della nostra stazione balneare e crea prestigio; Senigallia, a fine ‘800, è conosciuta come “L’Ostenda dell’Adriatico” e, come nelle più note mete turistiche sul mare, viene aggiunto allo Stabilimento Bagni, nel 1864 sempre su progetto di Vincenzo Ghinelli, il pontile in legno con la piattaforma sul mare chiamata “Kursal”.
30 ottobre 1930, il terremoto
I senigalliesi devono abbandonare le case crollate o dissestate e con urgenza viene progettato e costruito un Piano Regolatore antisismico al di fuori delle mura.
1933-34: nasce la “città-giardino” su modello dei quartieri residenziali inglesi, dimore uni o bi-familiari circondate da una fascia di verde.
Sul mare, lo Stabilimento Bagni subisce la sorte del centro storico. Il pontile viene eliminato, sostituendolo con la Rotonda a Mare, edificata in cemento armato, ma non più sull’asse della Rocca-Stazione-Stabilimento Bagni, ma sulla direttrice della nuova città, fuori dalle mura storiche. Anzi, leggendo il Piano Regolatore del 21 aprile 1931, si scopre che Viale Anita Garibaldi doveva raggiungere il mare, quindi forse la Rotonda poteva essere il punto finale all’orizzonte di questo viale, mentre il perpendicolare asse di Corso Matteotti, dalla Chiesa di quartiere Santa Maria della Neve, proseguendo lungo il Corso 2 Giugno doveva arrivare fino a Porta Lambertina e dritto fino al mare (così come nel progetto EX Sacelit di P.Portoghesi). Il disegno di questo Piano del 1931 è volutamente scenografico; prevede una visione prospettica da Viale IV Novembre alla Chiesa che, dopo la riqualificazione di Corso matteotti, si è riscoperta. Certo, sarebbe stato sorprendente attuare anche la visuale dell’incrocio tra Viale Anita Garibaldi e Corso Matteotti verso il mare! Purtroppo il Viale finisce in Piazza Diaz e il palazzine Pieralisi fa da inesorabile muro alto che impedisce per sempre la visione dell’alba sul mare: una melanconica “siepe leopardiana” “che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”.
Nel Piano Regolatore in questione, la tipologia dei villini a due piani è lasciata al gusto dei proprietari privati e prevalentemente tende ad imitare lo stile delle abitazioni sulla costa costruite sul lungomare di Senigallia negli anni ’20. Forse questo tipo di dimora rappresenta l’oggetto del desiderio della società borghese di allora. Poche sono le costruzioni in puro stile razionalista degli anni ’30.
Però una cosa è chiara: la filosofia del Piano propone l’idea di Città fondata sul valore della famiglia. Una casa per ogni nucleo familiare, nessun condominio alto. Forse il dramma del terremoto fa riscoprire i legami fondamentali, il senso della vita, quindi una rinascita sensata e responsabile che, ricostruendo la città, possa ricostruire anche la psiche dei cittadini che hanno subito il dramma della perdita di tutto. La mappa di questo insediamento è connotata dalla realizzazione dei villini a due piani con giardinetto e una chiesa per raccogliere spiritualmente la comunità: UN BRANO DI CITTA’ come “FOCOLARE DOMESTICO”. Un quartiere senza negozi, non contaminato da “scarico/carico” e magazzini. Abitazioni non più alte di otto metri, raggiungibili percorrendo i due assi viari abbastanza ampi per poter agevolare lo scorrimento veloce dei soccorsi, anche in presenza di ribaltamento delle facciate e quindi di macerie su strada. Esperienza amara subita nelle stradine del centro storico. Alle due arterie principali, perpendicolari tra loro, si innestano i viali alberati di penetrazione nel quartiere che portano alle case.
Il quartiere è localizzato in un territorio di frutteti ed orti di proprietà Gallizi: ancora oggi, nei piccoli giardini, si vedono nespoli e ciliegi carichi di frutti tra maggio e giugno.
Negli anni ’30 sono molto amate le pinete, pensiamo a Sabaudia nel Parco del Circeo, ai Viali dei Pini di Ostia, alle prestigiose ville di Forte dei Marmi e di Castiglioncello, alla “pineta a mare” di Milano Marittima.
Il primo marittimo della macchia mediterranea, con la sua chioma a ombrello, è un albero antico, mitico per la civiltà ellenica, greca, tipico del paesaggio romano e delle più belle coste italiane in genere.
In quel momento storico di “Colonie Marine” e “Terapie salso-iodiche”, la pineta era considerata un luogo di respiro e di benessere, faceva parte del paesaggio marino della villeggiatura. Le abitazioni del Piano Regolatore del 1931, erano immaginate in una pineta, le strade senza asfalto, erano ricoperte di aghi secchi e pigne profumate, ricche di pinoli.
Pochi cittadini, nel Trenta, possedevano un’auto, forse circolava qualche “Balilla”, niente a che vedere con la situazione odierna nello stesso quartiere, dove i giardini sono diventati dei parcheggi privati e le strade, ancora senza marciapiede, ulteriori parcheggi.
I villini che più aderiscono allo stile razionalista del Novecento (anni ’30/’40) hanno cilindriche colonne senza capitello, terrazze con ringhiere in tubolare di ferro e oblò che alludono alla nave, pareti arrotondate negli spigoli per creare sfumature di luce, scale ad elica: quindi il gusto formale dell’ ART DECO (1919-1939), gli elementi degli architetti Ridolfi e Libera, dell’E.U.R. e della nostra Rotonda a Mare.
Villa Marzocchi in Piazza Diaz,
Villa Gioacchini/Pancotti e Villa Vittoria in Viale Anita Garibaldi angolo via Don Minzoni;
Villa Magi Masin e Villa Pacenti in via Rosselli angolo via Venezia;
Villa Teresa in Corso Matteotti
sono “sorelle” della Rotonda a Mare.
Il carattere architettonico metafisico della Villa Gioacchino/Pancotti è data dalla dinamica sequenza degli archi che accompagnano le scale sui lati dell’edificio, mentre la facciata collocata sull’asse/ipotenusa si apre a ventaglio con effetto teatrale dalla ripida gradinata conica che va a raggiungere un atrio a tre arcate ritagliate in una parete che si espande convessa. Sono di grande imponenza e respiro le finestre ad arco del primo piano. Ancora sono conservate le serrande autentiche d’epoca in ferro con le carrucole in cuoio per l’elevazione. Forse è il più autentico documento d’epoca, insieme a Villa Vittoria, per il mantenimento dei caratteri architettonici e il rigore con cui gli architetti Ansuini-Pancotti hanno restaurato ed arredato in stile “Novecento” gli ambienti che abitano con i loro figli.
L’architetto Roberto Rossini, più di 25 anni fa, scrisse su Villa Vittoria: “…casa Chiarini nasce dalla composizione di tre corpi di fabbricato giustapposti intorno ad una grande scala ellittica e rigidamente orientati sulla diagonale dell’incrocio delle strade. E’ un’interpretazione del tema della casa per una famiglia con sei figli adulti; quindi, pur essendo destinata ad un solo nucleo familiare, vengono posti al centro dell’edificio grandi spazi comuni, come il portico tondo con colonne, la veranda vetrata cilindrica, la terrazza e il sovrastante solarium somigliante alla prua di una nave. Intorno, sei zone più private, riservate a ciascun figlio, si affacciano su questi spazi di riunione e di soggiorno. Il corpo scale centrale porta ad enfatizzare la forma e la figurazione delle sue parti, producendo un’architettura ascrivibile alle ricerche formali romane del progettista Ing. Almachilde Chiarini, che riesce a conseguire un sereno equilibrio tra l’edificio e il cielo. Seduti sulla gradinata d’ingresso e guardando in alto il frammento, oppure osservando l’ombra proiettata dal sole dal mattino nella stessa posizione, ci si accorge che la forma dei cornicioni e del solarium ritagliano e racchiudono una parte di cielo” (“Progettare ad Ancona”. Ed. “il lavoro editoriale architettonico” 1988). Dal 1934 ad oggi, sei generazioni della famiglia Chiarini hanno contemplato, col naso all’insù, l’Orsa maggiore e la croce di sant’Andrea in quel ritaglio di notte stellata eternamente uguale.
Negli anni Trenta, l’architettura italiana non è sempre retorica e trionfalistica, simbolo di una dittatura. La pittura metafisica immette quegli elementi poetici nell’architettura razionalista, che creano nuove immagini magiche. Sfere, cubi, coni, trapezi, coniugati tra loro da una diversa logica, quella della chiarezza e del “purismo” di Le Corbusier (A. Ozenfant e Ch. E. Jeanneret fondano il “purismo” a Parigi nel 1918), sono alla base dello stile mediterraneo, solare, musicale con cui l’Ing. Cardelli disegna la nostra Rotonda a Mare bianca come un aquilone che vola sul mare.
Le opere degli Anni ’30 rappresentano un importante momento urbanistico della storia della città
Il nostro lungomare aveva una sequenza di villini Liberty, come Villa Giomini e Villa Magìa, rari o forse unici superstiti, soffocati da anonimi casermoni senza alcun pregio, che hanno inesorabilmente reso volgare e caotico il litorale.
Sostituendo ad uno ad uno i villini anni Venti, che avevano una loro identità precisa e, nascendo quasi sulla sabbia di fronte al mare, senza il cancellare il paesaggio collinare orizzontale e ondulato, come fanno invece gli attuali alberghi, che inoltre gettano ombra sulla spiaggia.
Parecchi villini del quartiere del ’30 sono stati sostituiti o modificati per alzare di un piano o due l’edificio, senza migliorare l’estetica dell’abitazione. E’ un vero peccato perdere il disegno, l’omogeneità e l’armonia di un brano di città chiaro e razionale. Oggi, il “Piano regolatore del 1931” rappresenta un importante documento urbanistico della storia della città, con quel modo di vivere senza lusso, ma con grande dignità.
In che cosa consiste la bellezza di una città?
Nell’insieme di elementi fisici e ambientali la cui perdita e/o trasformazione, rappresenta una perdita dei caratteri del luogo. Se la Rotonda fosse stata definitivamente abbattuta, anziché restaurata, avremmo perso un forte riferimento storico e ambientale.
Lo spirito di un luogo è rappresentato dalla sua capacità di catturare la nostra attenzione, dal saper stupire e insegnare.
Il quartiere progettato insieme alla Rotonda, che per anni venne chiamato “Parioli di Senigallia” (anche se somiglia poco e fa sorridere pensarne il paragone) è però legato alla Rotonda del dopo terremoto e ad uno stesso destino di sopravvivenza. Venezia è sopravvissuta per tanti secoli alla Serenissima perché ha racchiuso in sé l’identità del mare e della terra. Senigallia deve individuare la propria specificità ed identità.
Margherita Abbo Romani, Architetto