QUANDO ANCONA FU CAPITALE DELLA LINGUA ITALIANA
di Catia Fronzi e Leonardo Badioli
Non vorremmo lasciar trascorrere questi ultimi giorni del 2016 senza ricordare un cinquecentenario che avrebbe meritato molto più di una menzione. Riguarda la città di Ancona, perché qui nel settembre 1516 fu pubblicata la prima grammatica a stampa della lingua italiana. Ma dev’essere proprio un destino che questa città tutta sporta sul mare e sostanzialmente disconnessa dalla regione di cui è capoluogo, si scopra all’improvviso capace di primati che essa stessa ignora o trascura. Non solo viaggi, commerci e avventure tra sponde adriatiche, “mossi dalla necessità di misurarsi con regni e poteri superiorem non reconoscentes”, come ricorda lo storico Franco Cardini, ma anche dall’esigenza ormai matura di costituire un nomos linguistico come tratto comune del bel paese dove ‘l sì suona.
È appunto questo il senso dell’aver consegnato alle stampe l’editio princeps delle Regole grammaticali della volgar lingua. Ma anche qui c’è di mezzo il mare, se solo pensiamo che il suo autore, Giovanni Francesco Fortunio, nativo forse di Pordenone, dunque veneziano ma più volte definito “schiavone”, era venuto in Ancona al seguito del fratello Mattia e di seicento zaratini per difendere la città dorica nella guerra di confine che si conduceva contro gli jesini.
Circa la formazione, il Dizionario Biografico degli Italiani lo segnala in contatto con “quel fertile umanesimo di provincia” che germinava nella zona compresa fra Pordenone, Udine e Trieste, dove da anni operavano vari umanisti e letterati; così come ne attesta la presenza nelle cariche pubbliche a Trieste, a Venezia e in altri luoghi adriatici. È probabilmente in questo ambiente che Fortunio traccia le note della sua grammatica.
Sta di fatto che nel giugno del 1519 Giovan Francesco è luogotenente in Ancona; nel settembre di quell’anno – come abbiamo detto – pubblica le Regole e nel gennaio successivo viene trovato spiaccicato nel cortile del Palazzo Pretorio “per esserse amazato lui medesimo da desperato”, secondo i registri del Consiglio Comunale – ma qui ogni supposizione è ammessa.
Stampatore è il vercellese Bernardino Guerralda, che apprende il mestiere anche lui a Venezia e poi nel 1513 si trasferisce ad Ancona dove tiene bottega sul Guasco, nel palazzo occupato una volta dal Senato. Qui esercita una specie di monopolio finché è attivo, fino al 1528; ed edita un buon numero di opere, tra le quali le Rime di Petrarca sulla scia dell’Aldina di Manuzio.
Escono dai suoi torchi complessivamente più di trenta edizioni, che si distinguono per la correttezza dei testi, per la ricercatezza nelle illustrazioni e per la chiarezza dei tipi. Proprio in occasione della pubblicazione delle Regole grammaticali della volgar lingua il Guerralda aveva acquistato da Soncino il corsivo di Fano intagliato da Francesco Griffo. Per questa opera l’editore ottenne da Venezia un privilegio decennale.
Una tale eccellenza, e in particolare il primato ottenuto con la pubblicazione delle Regole possono apparire singolari se non si conosce la bella attività degli stampatori che s’erano insediati su questo lato freddo dello Stato della Chiesa; intensa e brillante, per quanto episodica attività di tipografi ed editori in questa regione già in epoca rinascimentale (Rosa Maria Boccaccini).
L’opera fu pubblicata in due libri – ma Fortunio ne aveva previsti cinque – che portano una morfologia e una ortografia mutuate da Dante, Petrarca e Boccaccio; toscane dunque, con l’ambizione però di fondare un’unica norma per la lingua italiana. Prima di allora non esistevano regole grammaticali del volgare, se si esclude una Grammatichetta pochissimo diffusa, che solitamente viene attribuita a Leon Battista Alberti. Quella di Fortunio riscosse un successo straordinario, se nel secolo se ne ebbero diciannove edizioni.
Ecco dunque quello che Marcello Durante chiama “l’italiano in atto”. Il processo di unificazione linguistica prende avvio quando, nel Quattrocento, i mutamenti culturali e politici portano l’Italia fuori dal particolarismo medievale. Ognuno scriveva nella variante linguistica della città e della regione nella quale viveva. Firenze vantava, certo, una grande tradizione letteraria, ma fatta per essere imitata e piuttosto che generatrice di lingua in un paese, l’Italia, in cui nessun centro si trovava in condizioni di supremazia tali da imporre il proprio volgare.
Una norma linguistica italiana non si afferma dunque con la prevalenza del toscano sulle diverse parlate, ma per via colta attraverso il latino umanistico che man mano si trasferisce in un volgare latinizzante che assume un assetto più moderno con la diffusione del modello fiorentino (ad es.: questa mattina di buona hora partì la Excellentia del Duca con tucto lo exercito, Machiavelli, Legazione al Valentino, 1502).
È però nel Cinquecento che la descrizione grammaticale del latino viene applicata al volgare. Si inaugura con queste Regole del Fortunio e si infittisce di titoli e pubblicazioni man mano che procede il secolo fino a produrre un autentico boom librario. In questo modo si comprende come le grammatiche e i vocabolari provengano da autori non toscani e siano rivolte all’Italia non toscana (la prima trattazione della lingua che si parla in Toscana è del Giambullari, 1552). Ecco perché un Fortunio veneziano o schiavone in Ancona è importante. L’altro veneziano, Pietro Bembo, se ne accorse subito, tant’è che alla pubblicazione delle Regole grammaticali della volgar lingua rispose con una poco credibile quanto animosa denuncia per plagio. Poco credibile perché le sue Prose della volgar lingua, pubblicate nel 1525, costruiscono un modello nuovo e coerente di grammatica italiana, e non fanno più solo riferimento alla grammatica latina per fondare quella originale di una lingua nuova chiamata “italiano”.
Franco Cardini, Italia, Europa e Mediterraneo nel tempo di Ciriaco d’Ancona, in Ciriaco d’Ancona e il suo tempo, ed. Canonici, Ancona 2002
Marcello Durante, Dal latino all’italiano moderno, Zanichelli 1994
Rosa Marisa Borraccini , Stampa e società nelle Marche centro-meridionali nei secoli XV-XVIII
Gino Pistilli: Fortunio Giovanni Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani – 49 (1997) per l’Enciclopedia Treccani.
Paolo Tinti, Bernardino Guerralda, in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 60 (2003)
BELLISSIMO LAVORO! Storicamente importante. …dal latino veniamo!