di Mauro Gallegati, Università Politecnica delle Marche
La pandemia di Covid-19 si sta rapidamente diffondendo in tutti i paesi grazie anche ad un’economia sempre più globalizzata ed interconnessa. La recessione verrà. Le stime sono incerte – più del solito – e oscillano tra il -1% ed il -5% legate alla durata del periodo di quarantena [l’indice del BES stimato da un gruppo di ricerca dell’UNIVPM di Ancona, prevede peggioramenti superiori al 10%]. Il contagio economico, ora reale, diventerà presto anche finanziario [non parlo del Dow Jones calato in un mese del 33% dopo un’ascesa del 70% in 3 anni] se l’effetto recessivo dalle imprese si trasferirà alle banche, ripetendo il copione della crisi del 2008, a meno che non venga intrapresa un’azione coordinata globale per contenerla. I singoli Stati stanno già iniettando stimoli nell’economia sotto forma di spesa pubblica, di importo insufficiente a scongiurare il collasso economico dei paesi più deboli tra cui il nostro dove il rapporto debito-PIL veleggerà verso il 150%. Occorre dunque agire subito anche con azioni straordinarie: dall’emissione di “eurobond” garantiti dalla EU alla monetizzazione dei debiti, ad una selettiva “helicopter money”. Il rischio che crolli l’EU è reale, soprattutto se tali azioni non verranno mirate ad aiutare persone e paesi più in difficoltà, col rischio di una doppia recessione, come accaduto nel 2012 – sperando che l’Africa sia marginalmente toccata dalla pandemia.
La politica economica da 40 anni si ispira al neoliberismo: essendo come un medico specializzato in pazienti sani, prescrive alle imprese private di creare ricchezza e di lasciare allo Stato l’intervento in economia solo per cercare di risolvere i problemi quando si presentano, non importa se creati dal funzionamento stesso del capitalismo o da elementi esterni. Così facendo si è allentata la rete di protezione e sicurezza per i lavoratori – soprattutto precari e “working poor” – in società dove la disuguaglianza a sfavore dei poveri è crescente e la sanità pubblica “penalizzata” a favore del privato.
È noto che tra inquinamento da CO2 e produzione industriale esiste una forte relazione. [Da più parti è stata avanzata l’ipotesi che gli alti tassi di mortalità di Lombardia, Veneto ed Emilia a causa del Covid-19 si debbano proprio forte concentrazione di polveri sottili. In assenza al momento di analisi più approfondite a me pare che questo equivalga allo sconsigliare i ricoveri in ospedale perché lì si muore più che altrove.] Questa crisi ci offre allora due opportunità: modificare la politica economica e produrre in modo diverso, attento al benessere e non alla crescita a qualunque costo.
I governi non devono limitarsi ad intervenire nell’economia per correggere i fallimenti del mercato, ma promuovere attraverso la ricerca e l’innovazione lo sviluppo del benessere e non solo la crescita del PIL, anche perché solo il benessere può essere sostenibile ed inclusivo. I governi devono inoltre investire per rafforzare i sistemi sanitari, perché la popolazione sta invecchiando mentre siamo sempre più esposti al rischio di pandemie. Poiché la crisi colpisce soprattutto i più deboli è giunta l’ora del “prima le persone” e pensare ad una misura universale di protezione sociale che includa tutta la popolazione, come un “diritto di esistenza”, e diventi strutturale in un Welfare inclusivo.
Di solito, Banche Centrali e Governi hanno cercato di uscire dalla crisi distribuendo denaro. Con un collasso ambientale alle porte – di cui il riscaldamento climatico è solo l’evidenza più nota – dobbiamo fare in modo che gli interventi siano finalizzati alla trasformazione dei settori che beneficiano dei salvataggi perché passino a produzioni “verdi” facendo coincidere i fondi del “new green deal” europeo con quello dei provvedimenti anti-crisi. In tal modo i fondi per i salvataggi possono diventare lo strumento per il passaggio a una nuova economia concentra sul “green deal”, l’investimento in lavori della conoscenza e che governi la transizione verso un sistema che pensi alla qualità della vita piuttosto che alla quantità dei prodotti (del BES e non del PIL, cioè).
Speriamo di uscire presto dall’emergenza Covid-19 e di saper cogliere l’opportunità dell’intervento pubblico non solo per uscire dalla crisi, ma come occasione per cercare un’altra economia dove il benessere conti davvero.