LA CASA È LA PRIORITÀ PER TUTTI
ITALIANI E STRANIERI A CONFRONTO
A prima vista, guardandoli da lontano, Mohamed, M. e S. sembrano discutere molto animatamente tra di loro. In realtà, a mano a mano che mi avvicino, mi rendo conto che non si stanno accapigliando, ma stanno semplicemente scambiandosi opinioni in modo molto concitato. Appena riesco a sedermi al tavolo del bar dove ci incontriamo, capisco il perché. Mohamed Malih, mediatore culturale e cittadino marocchino, mi ha invitata ad ascoltare la sua conversazione con due suoi connazionali. L’argomento centrale è quello della casa, ragione di preoccupazione ormai universale. Anzi, si potrebbe pensare a delle soluzioni condivise tra italiani e stranieri che debbono confrontarsi con un problema così spinoso, piuttosto che impegnarsi in un’inutile e dispersiva guerra tra poveri. Mentre faccio questa riflessione mentale, ascolto i dialoghi in arabo ed attendo la paziente traduzione di Mohamed, che si inserisce tra un brano e l’altro di uno scambio fittissimo.
Appare subito chiaro che la condizione essenziale per poter trovare una sistemazione è di ordine economico: sia che si tratti di affitto sia che si prenda in considerazione l’acquisto di un’abitazione, i prezzi altissimi degli ultimi anni rappresentano l’ostacolo principale. Provo ad accennare ad un’iniziativa del Banco di Suasa e presentata, anche su un quotidiano locale, come “mutuo multietnico”. Nessuno dei tre convenuti ne aveva sentito parlare. Mi viene spontaneo chiedermi a chi si rivolga una promozione simile, se i diretti interessati non ne sanno nulla. Reticenza ad informarsi o cattiva comunicazione da parte dell’istituto bancario? Probabilmente entrambi, di fatto i risultati si vedono e non sono incoraggianti.
Sia S. sia M. sono inoltre pienamente consapevoli della difficoltà rappresentata dalla diffidenza degli italiani nei confronti degli stranieri. “Se vedo un annuncio su un giornale, per una casa, telefono e chiedo se è ancora disponibile, la prima risposta è sempre sì. Ma poi, se specifico di essere straniero, iniziano i dubbi” dice S. “Se poi aggiungo che sono marocchino, allora il rifiuto è assicurato”.
Colpa solo degli italiani? S. è pronto ad ammettere il contrario. “Molti marocchini che vivono qui hanno dei comportamenti sbagliati, non hanno rispetto né delle regole della religione, né della legge. Per questo, a causa di pochi che delinquono o danno una cattiva immagine di sé, la reputazione di tutti i marocchini e, spesso, degli stranieri in generale, è rovinata. Molti di noi lavorano e vivono onestamente, ma di questo non si parla”.
M. punta piuttosto l’accento sulle condizioni in cui giacciono le abitazioni che vengono concesse agli immigrati: troppo spesso si tratta di appartamenti piccoli, con problemi agli impianti oppure intrise di umidità. Non parla solo del suo caso, ma riferisce anche della situazione di altri suoi connazionali. Insiste sulla necessità di operare dei distinguo: “Un conto è quando uno viene qui con la famiglia, per lavorare. Lì farai fatica a trovare dei disagi, perché ci sono le mogli che mantengono la casa in ordine. Ma quando gli uomini vengono qui da soli, magari condividono l’appartamento con amici o parenti; allora è più facile che si creino situazioni di disordine, con molte persone che vivono nello stesso spazio”.
Chiedo a S. e a M. se hanno preso in considerazione l’ipotesi di fare domanda per la casa popolare. Entrambi mi rispondono di no. “Ci sono già troppe domande depositate” mi spiega S. “sarebbe inutile. Meglio continuare a cercare da soli”. Con Mohamed Malih parliamo anche del progetto di autocostruzione, che ha aperto delle prospettive abbastanza interessanti. Mohamed suggerisce inoltre un maggior coinvolgimento delle associazioni di categoria, come Confartigianato ad esempio: la tutela degli immigrati lavoratori, anche per ciò che riguarda l’abitazione, rappresenta un investimento anche per le imprese che li impiegano, perché ne favorisce la stabilizzazione sul territorio e la tanto predicata “integrazione”. Tra l’altro, S. e M. sono preoccupati anche dalla crisi economica, perché sanno che gli effetti di questa si riflettono a pioggia su tutti gli aspetti della loro esistenza in Italia, a cominciare dalla legalità della loro presenza qui: essa è garantita dal permesso di soggiorno, che dipende in modo diretto ed univoco dal possesso di un lavoro regolare. In tempi di cassa integrazione, chiusure e licenziamenti, si può capire quanto il senso di precarietà incida sulla loro vita quotidiana. A differenza degli italiani, che da qui non possono essere costretti ad andarsene, per loro esiste anche il rischio di rimpatrio.
En passant, tocchiamo anche altri argomenti. Chiedo a tutti se sentono l’esigenza di uno spazio d’incontro. Mohamed mi spiega che l’ideale sarebbe un “laboratorio di sperimentazione culturale”, in cui fosse possibile svolgere attività di vario tipo che favoriscano non solo la conoscenza reciproca, ma anche la produzione di qualcosa di nuovo, di inedito, almeno per Senigallia. “Ad esempio, scritture migranti è un bell’esperimento, ma andrebbe rafforzato ed arricchito”. Non ci si può sempre appoggiare a strutture già esistenti, magari destinate a finalità diverse: è il momento di fare un passo in più, passare dalla concessione dall’alto alla condivisione di esperienze dal basso.
E dal punto di vista dei luoghi di culto? Stavolta è S. a rispondermi: anche qui, si dimostra comprensivo nei confronti degli italiani, intimoriti dallo spettro del fondamentalismo, che sembra materializzarsi nelle assemblee religiose. Non crede che ci siano grandi prospettive per l’edificazione di edifici adibiti esclusivamente a moschea, ma vedrebbe già come un miglioramento la concessione di locali appropriati, visibili a tutti e raggiungibili da tutti. Per ora, però, l’edificio più ambito resta quello in cui vivere dignitosamente: la casa.
Elena Starna