Un passato che non passa
Recensione di Leonardo Badioli al libro di Giuseppe Santoni e Rossano Morici
Terremoti Storici nelle Marche edito nei Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche, n.330, settembre 2020.
Il terremoto questo sconosciuto? Che cosa sappiamo veramente del vicino di casa che vive sotto il pianoterra e ogni tanto s’inquieta e scuote l’intero condominio?
“E’ passato il terremoto”, si dice ancora dalle nostre parti; e a volte, annusando l’aria con competenza: “mh, aria di terremoto”, espressioni che sembrano derivare da antiche convinzioni – che il terremoto fosse una tempesta sotterranea – e su premonizioni che potevano essere dedotte dal colore delle nuvole. Non per nulla una notevole parte delle attestazioni di eventi sismici si trova in diari in cui viene segnato negli anni anche il tempo che fa, procedeva dall’esperienza del loro singolo manifestarsi nei diversi luoghi. Con buona pace di tanti apprezzabili programmi di divulgazione, nella percezione comune il terremoto è tuttora un evento inatteso e momentaneo cui seguono stridori e lacrime e poi ricostruzione o abbandono. Prima che si manifesti, l’attenzione si stringe esclusivamente nelle norme antisismiche che regolano le costruzioni, e a qualche consiglio della Protezione Civile: non più sull’attesa dell’evento, come facevano invece le antiche Rogazioni invocando un “Libera nos Domine”. Non è dunque soltanto una irresistibile propensione dello storico a frugare nel passato, quella che guida Giuseppe Santoni e Rossano Morici alla ricerca di testimonianze di avvenuti sismi per trasformarle in dati. Un approccio apertamente narrativo consente loro di non lasciarle nemmeno un momento incustodite e prive del loro contorno umano. I due autori ne traggono un compendio che, sotto il titolo di Terremoti storici nelle Marche – costieri, collinari, appenninici e subappenninici a partire dal XIII secolo si estende fino ai nostri giorni.
Tuttavia, apprezzate come si conviene le pagine quale puro racconto del modo, del luogo, delle conseguenze e dei rimedi adottati, una lettura contemporanea offre vantaggi e pone condizioni sue non solo nell’interpretazione e nella definizione – del modo, della perimetrazione, delle reciproche connessioni, delle possibili ricorsività – ma nella stessa motivazione alla ricerca. Perché noi diamo alla storia la forma delle nostre domande. Leggiamo allora, come esemplare, il terremoto del 1930, attraverso le conoscenze ad esso contemporanee, ma anche attraverso cognizioni attuali riguardanti “la magnitudo, l’epicentro e la sua posizione, l’estensione, l’orientamento e la lunghezza della faglia” (pag.75). Così quel terremoto definisce una sua mappa, dalla quale poi si è potuta ricavare la microzonazione urbanistica della risposta sismica.
Che cosa potrebbe dunque chiedere il lettore contemporaneo al di là della pura rievocazione?
Il primo pensiero è sempre rivolto al sogno (qualcuno l’ha fatto anche da sveglio) della possibilità di prevedere l’evento. La risposta è ancora e sempre no. Si parla, però di una certa ricorsività che possano avere i terremoti, e forse anche di una loro periodicità (Zapperi e altri, CNR, in Science, sett. 2012). Potrebbe forse una ricostruzione storica aggiungere cognizioni o addirittura predizioni a questo proposito? Qui la risposta è sì. “Per questo assumono sempre più importanza gli studi storici sui terremoti del passato” scrivono gli autori, “nella certezza che sequenze sismiche forse simili a quelle avvenute in passato colpiranno, più o meno con la stessa intensità, le medesime località o le zone immediatamente adiacenti. Studiando il passato, si può capire e valutare la pericolosità sismica di una regione, cioè il rischio derivante dall’abitare in zone dove sono presenti faglie sismogenetiche. Di conseguenza ci si può preparare a fronteggiare i terremoti nel modo più adeguato possibile, per esempio con la costruzione di edifici antisismici e con un efficiente servizio di protezione civile” (p.19).
Gli autori concludono la loro ricerca con la proposta di adottare nuove norme tecniche per le costruzioni sulla base delle nuove tabelle di accelerazione sismica proposte dall’Università di Siena (Mantovani et al.), perché i recenti terremoti appenninici del 2016-2017 si sono dimostrati più severi di quanto finora si riteneva attraverso gli studi storici. Il fatto stesso che possa alimentare simili interrogativi parla della qualità di questo compendio, che meritoriamente il Consiglio Regionale ha voluto includere nei sui quaderni, in modo che esso possa essere fruito dagli specialisti e ben compreso anche da chi non è specialista.
Le pagine che i due autori mi hanno pregato di scrivere al centro del volume perché trattassi di Terremoti indotti e innescati dall’azione umana (e non dunque tettonica) rappresentano un altro punto di connessione tra gli studi in atto e la speranza che vengano previsti, tamponati e poi scongiurati i fatti sismici da una più attenta conduzione nel governo della natura profonda.
Felicitazioni agli infaticabili! Però attenzione che non vi sentano le faglie dal profondo…