Il mormorio garbato di Anita Fattorini
La poetessa senigalliese se ne andava vent’anni fa…
La poetessa senigalliese Anita Fattorini si contraddistingue senz’altro per il suo linguaggio semplice e per il suo tono dimesso e pacato, ma non per questo incapace di sollecitare le corde cui stanno appese le emozioni del lettore.
Le poesie sono di breve lunghezza e i versi, per lo più brevi anch’essi, talvolta rispondono alla tipica metrica italiana, altre volte sono liberi. Le parole, nella loro quasi disarmante sobrietà e accessibilità risultano, in realtà, essere caricate di un’incredibile forza tanto che il lettore non può che emozionarsi e rimanere meravigliato di fronte a così intensa e chiara sensibilità. Con Anita Fattorini diventano versi i pensieri della gente che la circonda e che vive la sua povera quotidianità attraverso piccoli gesti portatori, però, di valori e virtù universali. Nel suo scandaglio della realtà la poetessa usa sempre toni morbidi e garbati anche quando c’è dietro una forte tensione sensoriale e intellettuale. Sembra quasi di sentire il mormorio singhiozzante della voce di Anita che inevitabilmente commuove il lettore sensibile che, di fronte a un’anima capace di rivelarsi in modo così limpido, non può che restare quasi disorientato e profondamente colpito.
Uno dei temi fondamentali nella poesia della Fattorini è, senza dubbio, quello del padre, deceduto anzitempo nel 1930, ma del quale sarà sempre mantenuto vivo il ricordo. Un esempio di vita per Anita che lo vedeva come un re senza corona/legato alla terra/mai schiavo. Una figura tanto più vicina nel cuore quanto più distante nel tempo. Anita ama descrivere nelle sue poesie i personaggi della sua famiglia, vuole raccontarne i piccoli gesti carichi però di grande significato. Le tue mani è dedicata alla figlia; la nonna compare quasi di sfuggita in Angolo verde per arrivare alla madre in Lontana stagione, ma soprattutto nella commuovente Occhi di madre; per passare, poi, ancora con le lacrime agli occhi, all’ Estremo vale dove ricorda e piange suo fratello. I suoi amati nipotini compaiono in due poesie della raccolta La lunga estate dove la poetessa riflette sul tempo che inesorabilmente passa, ma è proprio grazie al loro contatto che vive, seppur per un istante, l’illusione di ritornare fanciulla. Nessuno dei temi è più caro ad Anita, però, come quello del marito che è presente in tutte le raccolte (sono sei in totale) poetiche di Anita.
Sembra non riuscire a fare a meno del ricordo, anche se, pur in un’atmosfera quasi di dolce nostalgia, il dolore non fa che acuirsi. Altro tema molto caro alla poetessa è quello riguardante la sua amatissima Senigallia la quale viene custodita dai versi della Fattorini come uno scrigno che si trova tra la collina e il mare. Quei panorami che permettono alla poetessa di sognare ad occhi aperti, di perdersi in quelle straordinarie immagini di onde che si infrangono sugli scogli, di mare in una notte di luna, di tramonti sperduti non possono non eccitare uno spirito poetico come quello di Anita.
Stefano Perini
“So piangere e sognare”
Secoli di freddo
e di tepore
coprono le ceneri
dei padri.
Un fiore, mille fiori
succedono al silenzio
di sapienti voci.
Danzano sui tetti,
carezzano l’azzurro
le volute
di comignoli lontani.
Tra fantasia e ricordo
è realtà improvvisa
il grido dei vissuti.
Ecco a noi fratelli
di sangue e di pensiero
il biblico pudore
dell’asceta.
In contrasto col pirata
terrore delle coste,
canta il poeta
lo splendor del verso.
Io sono ciò che sono
e su perduti zefiri
so piangere e sognare.
(Anita Fattorini)
“Poesie ricche di illuminazioni che suscitano il sentimento attraverso l’evidenza delle cose esteriori, delle forme e dei colori. Poesie immediate, sostenute da un linguaggio semplice, capace di trasmettere cadenze ed emozioni spogliate da ogni forte caratterizzazione, che privilegiano questo tuffo nell’intimità delle proprie ragioni” (Enzo Carli)
“Non c’è nulla di artificioso in questa traduzione della propria anima e la stessa operazione specificamente letteraria si limita nella ricerca della parola giusta e dell’immagine schietta, lasciando al verso quel minimo di ritmo che lo avvicina più ad una prosa scandita che alla liricità” (Valerio Volpini)
Che bell’approfondimento sulla figura della poetessa senigalliese, sconosciuta ai più, eppure di grande spessore. Grazie!