Scena prima: Treno regionale Ancona – Bologna, sera di Pasqua.
Sono con mia madre, rientriamo da una visita ai parenti dorici. Ho una voglia disperata di togliermi le scarpe da “donnina”, che mal si adattano ai miei piedi avvezzi al comfort delle calzature sportive. A Falconara sale un gruppo di adolescenti o poco più che tali. Uno, in particolare, mi colpisce. Non solo per il numero incalcolabile di piercing che gli perforano il viso (se lo avesse conosciuto in tempo, il Padreterno avrebbe usato quelli come unità di misura della discendenza di Abramo, altro che stelle e granelli di sabbia…), ma anche perché sfoggia una tonsura in tutto e per tutto identica a quella di Adso da Melk (il famoso taglio alla Adso…)ed è vestito come il comico di Zelig che prende in giro i ragazzi “techno”. Uguale. Ha anche l’anello fluorescente attorno al collo. Praticamente, una caricatura di una caricatura. Uno sfottò al quadrato. Solo che la versione in carne ed ossa non è pagata per dire baggianate (o almeno mi auguro che non sia retribuito). In un quarto d’ora di condivisione del viaggio sento più bestemmie che respiri, insulti rivolti a non so chi, minacce di “spaccare tutto”. Forse con le bottiglie di birra che lui ed il resto della ciurma si portano dietro come la coperta di Linus.
Scena seconda: Capannino degli Amici del Molo, mattina del lunedì di Pasqua.
Sto festeggiando la mia recente laurea con i “vecchietti” che mi hanno aiutato nella redazione della tesi. Sempre disponibili, soprattutto quando ci si può riunire allegramente attorno ad un po’ di ciambella e a qualche bicchiere di vino. Instancabili nel raccontare le loro storie, inflessibili nel criticare le poco lungimiranti iniziative che rischiano di stravolgere il volto della città dove sono nati e cresciuti e che contribuiscono a preservare, se non altro trasmettendone memoria. Dopo neanche dieci minuti, un arzillo ottantenne mi si avvicina, mostrandomi lo schermo di una macchina fotografica digitale, sul quale si materializza un’istantanea di me, appena scattata. Il contrasto tra i ragazzi del giorno prima, assillati dalla volontà di distruggere e questi anziani non ancora stanchi di costruire è abbastanza stridente.
Scena terza: sabato 18 aprile, appartamento di Ziaele a Ravenna.
Aspettando di uscire, seguo in tv “Che tempo che fa”; il sempre impavido Fazio intervista Giovanni Sartori, uno degli ultimi Grandi vecchi del giornalismo italiano. Siamo in par condicio, ma l’ex professore non rinuncia a diagnosticare con chiarezza i mali politici del nostro Paese, servendosi dell’artificio dell’ipotesi (“se per assurdo in Italia accadesse che…” ripete, descrivendo esattamente quel che in Italia si verifica eccome). Ad una domanda sul ricambio generazionale, Sartori risponde: “Non necessariamente si tratta di un bene: intelligenza ed età non sono direttamente collegate” “Bisognerebbe coniugare l’energia del giovane all’esperienza dell’anziano”. Non si fa troppa fatica ad essere d’accordo. Anche senza sovrapporre pessimismo e realismo, appare chiaro che non basta affidarsi alle “energie” giovanili per sperare in un cambiamento in positivo. A volte, il nuovo avanza; il vecchio, in effetti, bastava abbondantemente…
(vekkiaziaele)