AL FUOCO LA TERRA

 

CLIMA, L’ANNO PIU’ CALDO

Il 2015 è stato l’anno più caldo da quando si raccolgono i dati sul clima, cioè dal 1880, annunciano la Nasa e la National oceanic and atmospheric administration. La temperatura media è stata di 0,9 gradi superiore alla media del novecento. L’aumento è stato registrato sia sulla terraferma sia sulla superficie marina. Si pensa che al record abbia contribuito, oltre al riscaldamento globale, anche El Nino, il fenomeno climatico periodico che nel 2015 è stato particolarmente intenso.

 

RISCALDAMENTO: COME FERMARE L’AUMENTO A 2°C ?

 

al fuoco la terra
La caduta di Fetonte (sulla terra che brucia), Johann Liss

 

E adesso che facciamo? Questa è la domanda che tutti i governi dovrebbero porsi dopo Parigi, perché gli accordi presi in seno alla COP21 sono solo un punto di partenza per affrontare e cercare di risolvere i problemi legati ai cambiamenti climatici, e non certo un punto di arrivo. Chi crede che questo trattato sia una soluzione, si sbaglia. Per cercare di capire cosa succederà da oggi in avanti, il parlamentare europeo del M5S Marco Affronte ha organizzato a Bruxelles un evento con molti ospiti di altissimo livello. Solo un’economia decarbonizzata potrà salvare il pianeta.

 

Kevin Anderson *

TIME IS OVER

<Forse conoscete già il documento che contiene l’accordo di Parigi. In questa conversazione fissiamo l’attenzione sulla parte riguardante l’energia, che è il campo principale delle mie ricerche. L’accordo vuole che l’aumento della temperatura sia tenuto al di sotto, molto al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli pre-industriali; chiede anzi uno sforzo per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C.

Paris agreement – Dec. 2015

… hold the increase in global average temperature to well below 2°C above pre-industrial levels and pursue efforts to limit the temperature increase to 1,5°C.

 … global peaking of emissions as soon as possible, recognizing that peaking will take longer for developing country Parties…

 … to undertake rapid reductions in accordance with best science on the basis of equity, and efforts to eradicate poverty.

Sarà necessario anche limitare i picchi di emissioni – questo richiederà più tempo per i paesi in via di sviluppo e sottende un principio di giustizia – perché si ottenga una riduzione rapida secondo la scienza migliore a disposizione su una base di giustizia e di equità in modo da sradicare la povertà.

Innanzitutto: cosa possiamo pensare dell’accordo, e come questo accordo può essere rispettato? Le 32 pagine del documento trattano questioni molto interessanti, ma non fanno cenno ai combustibili fossili – questo è ridicolo – e non si parla nemmeno della decarbonizzazione; settori importanti come l’aviazione e tutti i trasporti marittimi sono esonerati da “azioni” e non sono inclusi nell’accordo sul cambiamento climatico – questo significa trascurare l’equivalente delle emissioni del Regno Unito e della Germania.

“Issues” with the Paris agreement?

– no reference to fossil fuels or decarbonisation

 – aviation and shipping exempt from any action

 – voluntary pledges (INDCs) equate to ~3,5° (focus on 2,7°C is misleading)

 – no review of INDCs until ~2020; i.e. 200 billion tonnes of CO2 from now

 – no reference to reliance on highly speculative negative emission technologies

 – derisory $ 1000 bill pa. to assist poorer nations & mitigate

Poi ci sono gli impegni volontari, gli INDC, che devono essere pari a 3,5°C (di solito si fa riferimento a 2,7°C, che però include molte emissioni negative, un presupposto eroico dopo gli INDC. Ora questi INDC non saranno riveduti prima del 2020, ma si tratta di 200 miliardi di tonnellate di CO2 che saranno immesse nell’atmosfera a partire da oggi. Tutto questo avverrà prima che ci sia la revisione degli impegni INDC. E’ un periodo di attesa troppo lungo: dovrebbe essere un anno, due anni; e non si parla neanche del fatto che tutto l’accordo di Parigi dipende molto da tecnologie sulle emissioni negative (e molto speculative) per quanto riguarda il 2050: non si parla nel documento delle tecnologie, eppure l’accordo ci si basa su queste come presupposte. Secondo me i cento miliardi di dollari all’anno sono un importo irrisorio, si tratta di assistenza ai paesi più poveri per adattarsi al cambiamento climatico che non loro, ma noi abbiamo provocato: cento miliardi sono un 153esimo delle stime dell’FMI per i sussidi perché sia possibile affrontare il problema dei combustibili fossili, sono una briciola; ci chiediamo quanto invece dovrebbe essere grande questa briciola: dovremmo parlare non di cento miliardi ma di trilioni. E poi – l’ho pubblicato in un articolo su Nature – quello che è importante qui è che dobbiamo rimanere ben al di sotto di 2°C – 1,5°C, questo è l’obiettivo, e poi la scienza migliore possibile: abbiamo l’IPCC che ci può orientare. Importante però è il principio di equità per le varie regioni del mondo.

 

Vediamo gli antefatti:

– the mitigation message has changed little in the last twenty years

– annual emissions ~60% higher than at time of the first report in 1990

– atmospheric CO2 levels higher than during past 800 thousand years

E’ importante ricordare qual è la situazione attuale: il primo rapporto IPCC è stato pubblicato nel 1990, un quarto di secolo fa: in questo tempo non abbiamo fatto niente sui cambiamenti climatici, sono stati 25 anni di fallimenti su questo tema. Ecco perché siamo giunti a questo punto: le emissioni di quest’anno saranno più elevate del 60% rispetto a quelle del 1990; la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è molto più elevata rispetto agli ultimi 800.000 anni, quando ancora l’uomo non c’era. Questo è il lavoro che abbiamo fatto. Che cosa è cambiato, e cosa può cambiare con l’ultimo rapporto IPCC – questo non si trova neanche nell’accordo di Parigi – : se pensiamo alla temperatura, si è posto l’accento sui bilanci del carbonio: che cosa succederà nel 2050? Questo non è importante, gli obiettivi a lungo termine sono fuorvianti. Quello che importa per la scienza è il bilancio di CO2 che noi immettiamo nell’atmosfera anno dopo anno, questo è veramente importante, non cosa succede nel 2050. L’obiettivo del 2050, a prescindere dal valore che verrà fissato non sarà valido scientificamente. Nonostante la crisi economica le emissioni sono aumentate fino al 2-3% all’anno rispetto all’inizio del millennio fino a raggiungere il triplo di quanto era nel 1990. L’anno scorso, e forse anche quest’anno, non c’è stato un aumento delle emissioni di CO2. Quello che sappiamo è che quando costruiamo centrali elettriche, infrastrutture, strade, ospedali, palazzi con tutta l’elettricità senza finestre, quando costruiamo aerei e navi, blocchiamo il tutto per decenni, per secoli; ad esempio le fogne o altre infrastrutture che hanno secoli; per cui ci si blocca per un lungo tempo. Se andiamo avanti così, secondo quello che ha detto l’INDC, e non poniamo un vincolo, le emissioni seguiranno questa evoluzione: un 3,5°C entro la fine del secolo potrebbe essere una supposizione, senza utilizzare tecnologie negative per le emissioni. Con quelle si arriva al 3°C. Però si vuole avere un aumento del 2°C. Nel breve periodo, quando dovremo ridurre le nostre emissioni, non lo potremo fare con una bassa offerta di carbonio, non possiamo costruire le centrali elettriche, non ci sarà abbastanza per il riscaldamento, per cui ci dovranno essere tagli nella domanda energetica, politicamente poco popolari; non si possono costruire abbastanza rapidamente le centrali elettriche. Nel medio termine l’offerta è necessaria per avere una transizione più rapida possibile per gli INDC ma non sarà abbastanza rapida per arrivare a 2°C.

Ricordiamo che questo è il panorama generale. Ci basiamo sul principio di equità perché i paesi più poveri abbiano più tempo per ridurre le emissioni. Ma torniamo all’IPCC e ai bilanci.

Vediamo i bilanci per un grado e mezzo: a meno che si creda ad una riuscita molto rapida di tecnologie a emissioni negative, è troppo tardi per 1,5°, e noi non riusciremo a rivedere gli INDC. Questa conclusione era già nota a Parigi se solo ci fossimo dati la briga di controllare. Per 2°C la possibilità del 66% ormai è persa. Adesso abbiamo una possibilità del 50%. Noi non riusciremo a riesaminare gli INDC entro 5 anni. L’unica chance che abbiamo è una possibilità del 33%, esterna all’accordo di Parigi, per un aumento di 2°C.

 

without a belief in the huge & successful uptake of highly speculative emission technologies

 it’s now too late for 1,5°C

 66% chance of 2°C is lost

 50% chance demands a war-like footing on mitigation now

 33% chance demands mitigation far beyond anything discussed in Paris

 

Ora pensiamo alle regioni più povere del mondo, tra le quali anche la Cina che domina questo settore: riteniamo che la Cina e il resto del mondo collettivamente possano toccare un picco delle loro emissioni entro il 2025, cinque anni prima di quanto dice la Cina stessa.

Immaginiamo che possano ridurre le emissioni del 10% ogni anno per il 2035 grazie allo sviluppo dell’economia, tre volte più rapidamente della riduzione nostra economic zone – altri dicono che è possibile con una crescita economica come quella della Cina. Questa è una grossa richiesta che facciamo alle parti più povere del mondo, però possiamo anche fare i nostri conti su questa base: un bilancio del carbonio può essere messo a punto per farne un obiettivo; e poi possiamo vedere che cosa è rimasto per noi, per la parte più ricca, Stati Uniti, Australia, Europa, per 2°C – è quello che stiamo facendo adesso, e pensiamo di avere aumentato del 13%, – ma c’è un 10% di riduzione delle emissioni che inizia da ora. Quindi pensate in pratica a come si deve gestire la cosa al livello dell’UE: 40% di riduzione nelle emissioni di carbonio [al 2018], che significa che l’impiego di energia nei prossimi anni è in questi termini: per il 2025 avremmo il 75% di riduzione; nel 2030 non dovremmo più avere nessun uso del carbonio, a tutti i livelli, in modo che per il 2035 non ci sia più nel nostro sistema energetico alcuna traccia di carbonio.

 

at least 10% reduction in emissions year on year from now

 equivalent to:

 40% reduction by ~ 2018

 70% reduction ~ by 2024

 90% reduction by ~ 2030

 cfr. EU’s submission to Paris by 2030

 

Ecco invece quello che ha presentato a Parigi l’UE: 14% per il 2030, meno della metà di quanto necessario per una qualche possibilità di avere una riduzione di 2°C, sempre nell’ipotesi che rispetti gli obiettivi la parte più povera del mondo.

Come possiamo conciliare questo con l’ottimismo che abbiamo sentito? Il Gruppo di Lavoro III dell’IPCC dice che i costi per tenere a 2°C nell’aumento delle temperature sarebbero così bassi che la crescita non sarebbe ridotta. Ma che cosa tirano fuori dal cappello? Sembrano due posizioni contrastanti quella che vengono presentate:

1) la prima è quella delle tecnologie a emissione negativa: dovremmo togliere tante emissioni dopo il 2050 per non passare il problema alle prossime generazioni; quindi pianteremmo essenze che assorbono tramite la fotosintesi le emissioni; metteremmo questi alberi per la combustione nelle centrali, si cattura il carbonio, lo si passa allo stato liquido e lo si pompa sotto terra e per centinaia di migliaia di anni lo si immagazzina lì;

2) L’altra possibilità – l’altro coniglio nel cappello sta nel fatto di pensare che il picco sia stato raggiunto e che non verrà nuovamente raggiunto; ma ci sono troppe incognite tecnologiche e penalità sull’efficienza notevoli: biomassa insufficiente, l’industria chimica, e anche l’aviazione, non ce la fanno a far fronte a questi obiettivi perché continuano a prevedere voli; e poi dobbiamo anche tenere le dita incrociate che il rilascio di metano e lo scioglimento dei ghiacci non continuino. Tutto questo deve essere tenuto presente.

 

Negative emissions technologies (BECCS)

never worked at scale

 huge technical & economics unknowns

 major efficency penalty

 limited biomass availability (fuel or food?)

 and fingers crossed on feedbacks

 

E poi le emissioni del passato. Non abbiamo la macchina del tempo: si pensa che il picco sia stato raggiunto, ma questo non è confermato dai dati che abbiamo. La base dati dell’IPCC sono 400 scenari: 50% di possibilità di riuscire nell’obiettivo dei 2°C – noi pensiamo che 1,5 sia più ragionevole: di essi l’86 di questi scenari richiedono emissioni 0, 14% il picco massimo avrebbe dovuto esserci nel 2010; la maggior parte degli scenari richiedono assolutamente emissioni negative. Sono un po’ una sfida le previsioni contenute nell’accordo!

 

400 scenarios for 50% or better chamce of 2°C

 

of these:

 86% include large scale negative emissions

 the remaining 14% peak in ~ 2010

 many use negative emissions & adopt a ~ 2010 peak

 

Ritorniamo ai 2°C: è fattibile? La mia ipotesi è: sì, ma di poco, di misura. Ci sono tre cose di cui parlerò: la questione dell’equità; la tecnologia, la crescita.

EQUITA’. Ricordiamoci che il 50% delle emissioni nel mondo vengono dal 10% della popolazione; quindi si deve fare molto lavoro su questo – anche il rapporto OXFAM lo dice; l’1% degli emittenti negli Stati Uniti (3,4 milioni di persone), hanno dei footprint di CO2 2500 volte più alti rispetto al corrispondente 1% che sta in fondo alla scala mondo (70 milioni) – la maggior parte di noi sarebbe inclusa nella parte alta, e se non fossimo inclusi vorremmo essere inclusi, quindi gente come noi ha un footprint elevatissimo – . Chi sono i grandi emittenti? Sono quelli che fanno le politiche, gli esperti climatici che costantemente passano da una conferenza all’altra e prendono aerei: gli accademici, e metteteci anche i politici, chiunque prenda tanti voli è causa di cambiamento climatico – quante bottiglie riciclate annullate da un solo volo! Il 2% è una grossa sfida: da adesso al 2025 si può ancora pensare di fare qualcosa ma dopo non sarà più possibile E’ un problema di consumo, non di popolazione. Il tempo che abbiamo a disposizione non è molto: è la gente che già consuma al livello attuale o consuma di più quella che dovrà fare lo sforzo oppure ci faranno fallire. Siamo noi che dobbiamo fare il grande cambiamento. C’è una logica molto brutale in questo approccio. Pensate all’aviazione, per esempio. Ogni tonnellata di CO2 che emettiamo per un volo – noi che voliamo siamo già grossi emittenti, consumiamo molti beni, chi viaggia in aereo è in genere forte emissore – c’è un certo bilancio che si deve rispettare. A breve termine l’accesso ai combustibili fossili per i poveri migliora il loro benessere ma non il nostro quando noi bruciamo il carburante fossile quindi è chiaro qual è il pericolo: è una scelta molto difficile quando andiamo a una conferenza in aereo, quando andiamo in vacanza. Alcuni più poveri da qualche parte del mondo non possono avere accesso a un minimo di qualità di vita per questo. E’ semplice: ogni volta che noi consumiamo al di là di un livello ragionevole lo togliamo ai più poveri. Non è tanto bello pensarlo. Però pensarlo ci può essere di aiuto.

TECNOLOGIE. Due tecnologie sono d’aiuto: i frigoriferi e le automobili. Automobili: 10-15% delle emissioni provengono dalle automobili negli Stati Uniti ed Europa. E’ molto difficile ridurre questa quota, però ora ci sono 300 modelli diesel e benzina, ossia non elettrici. Queste automobili non costano di più e la media è 166 grammi; 212 è la media negli Stati Uniti. Probabilmente in Europa la media è un po’ maggiore alla media britannica. Solitamente le automobili hanno una vita media di otto anni; c’è quindi un ricambio molto elevato. 
Un limite massimo, per esempio 100 milligrammi per kilometro, già c’è, a parte se si usano automobili veloci, sportive; se riduciamo i costi operativi noi con le stesse infrastrutture, stesse strade riusciamo a ridurre le emissioni e le imprese possono fare automobili più efficienti. Questo permetterebbe fino a un 7% di riduzione nel giro di dieci anni. Non abbiamo nemmeno il coraggio di attuare cose che possono essere fatte con la tecnologia e che non porterebbero grossi cambiamenti nella nostra vita. Stessa cosa per i frigo. Ce ne sono che utilizzano l’80% in meno di energia: perché non potremmo fare uno sforzo e portare un 50-60% di riduzione in 10 anni solo utilizzando la tecnologia già esistente. E poi pensate cosa significa questo per il sistema. Immaginate che volete una buona refrigerazione: avete bisogno di più elettricità. Avete bisogno di una rete di trasmissione, di una centrale, avete bisogno che nel Qatar ci siano i giacimenti petroliferi. Per dieci unità in più di refrigeratori dobbiamo avere 50 di elettricità, 6-7% della trasmissione dovrebbe essere potenziato per la trasmissione, 120 per la centrale, e poi bisogna estrarre il petrolio, esportarlo… la riduzione da una parte si fa molto piccola alla fine di questa catena; però possiamo fare molto di più a livello di domanda, possiamo fare a livello politico quello che noi possiamo comprare e dobbiamo non comprare.

CRESCITA. E’ importante, certo: ha a che vedere col livello di vita, con la sicurezza, con l’equità, col posto di lavoro, tempo con la famiglia, queste sono le cose che ci importano; ma gli economisti, soprattutto alcuni economisti, costantemente hanno fatto in modo che le cose importanti per la nostra vita non sono quelle che vengono valutate. Inversamente, per noi il valore dei figli non è calcolabile, ma loro invece lo fanno e mettono un prezzo su tutto: trasmettono una visione omogenea basata solo sul calcolo finanziario. Un bel tramonto sostituito da un aereo. Noi dobbiamo valutare le cose in modo corretto: in tema di crescita gli economisti hanno constatato che ci sono crisi economiche in molte parti del mondo non per le tasse sul carbonio ma perché c’è una scuola di pensiero economico che ha fallito, da noi, il sistema neoclassico è ormai crollato e l’aumento che abbiamo visto della crescita si è fermato. Quindi dobbiamo avere un approccio completamente diverso. Questo per gli accademici è una buona notizia, ma anche per noi lo è, dobbiamo iniziare ad agire in modo diverso per affrontare il problema del cambiamento climatico. Dobbiamo avere un piano a due fasi: innanzitutto la parte più ricca del mondo deve ridurre la domanda energetica, e poi abbiamo bisogno di una specie di Piano Marshall per ottenere una fornitura energetica a basso impiego di carbonio se non a zero carbonio.

Deep reduction in energy demand from now to ~2030

… by the high emitters

 Marshall-style build programme of zero carbon energy

… with 100% penetration by 2050

 

Finisco con una nota positiva. Noi stiamo ancora ragionando con una mentalità riduzionista, quella che agli inizi del Novecento ci ha permesso di avere grandi risultati: abbiamo suddiviso il mondo, poi lo abbiamo ricomposto per avere l’insieme: io sono ingegnere, ma qual è la differenza tra la fisica e l’ingegneria, l’arte e la danza? Sono modi diversi di interpretare il mondo, ma non sono separati. Noi invece affrontiamo ogni sfida in modo separato e non in modo sistemico. Le cose con cui ci confrontiamo sono basate su un sistema e le università non l’hanno ben capito. Gli accademici non capiscono come affrontare problemi più generali come il cambiamento climatico; quindi abbiamo bisogno di guida, e questa guida può venire anche da noi, dalla base della nostra vita. Abbiamo bisogno di coraggio, di un pensiero innovativo, di fare delle scelte difficili. Tante cose a breve termine non faremo bene; sarà anche faticoso, non è una situazione questa in cui tutti vincono. Ma quelli come noi che siamo forti emissori debbono cambiare lo stile di vita, e questa è la nota positiva.

Io utilizzo sempre questa citazione perché coglie il problema e la bellezza di tutte le cose con le quali ci stiamo confrontando:

“Ad ogni livello il grande ostacolo alla trasformazione del mondo è che manchiamo della chiarezza e dell’immaginazione per concepire che potrebbe essere diverso.”>

 

 

 

*Kevin Anderson is the Deputy Director of the Tyndall Centre for Climate Change Research;holds a joint chair in Energy and Climate Change at the School of Mechanical, Aerospace and Civil Engineering at the University of Manchester and School of Environmental Sciences at the University of East Anglia; and is an honorary lecturer in Environmental Management at the Manchester Business School. He is an adviser to the British Government (as of 2009) on climate change.

 

 

One thought on “La giornata della terra

  1. Ieri 22 aprile è stata la giornata mondiale della terra. Anche se si comporta come se lo fosse l’uomo non è affatto il padrone della terra. Vorrei citare S.Mancuso dal libro “la nazione delle piante”: Nel 1865 l’economista inglese W.S.Jevons notò come i miglioramenti tecnologici che si susseguivano nel tempo e che aumentavano l’efficienza dell’uso del carbone, invece di portare ad una riduzione nelle quantità di carbone, determinavano, al contrario, un aumento del suo consumo. Un vero e proprio paradosso, la cui spiegazione è, tuttavia, molto più semplice di quanto potrebbe sembrare: quando il progresso tecnologico o le politiche che ne regolano l’utilizzo aumentano, in qualche maniera, l’efficienza con cui una risorsa è utilizzata, riducendone, conseguentemente, la quantità necessaria per un qualsiasi suo impiego, il tasso di consumo di tale risorsa, invece di diminuire, aumenta a a causa dell’ampliamento della domanda.

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