Arx munitissima Corinalti

 

Dopo l’ampliamento delle mura, portato a termine nel 1490, Corinaldo diventa la roccaforte più appetibile della Marca. Nel 1517 viene eletta piazza d’armi da Lorenzo de’ Medici duca di Urbino e ricovero per il suo esercito contro Francesco Maria della Rovere, il quale, nel tentativo di completare la conquista della Marca ai danni dello Stato della Chiesa, aveva puntato le sue mire anche su Corinaldo.

Dopo vari tentativi di risolvere in maniera pacifica la conquista dispose l’assedio. Grazie alle sue mura, al coraggio degli abitanti e alle riserve idriche del pozzo cittadino, pur vivendo momenti altamente drammatici, Corinaldo riesce a resistere, tanto che Francesco Maria della Rovere, resosi conto dell’impossibilità di espugnarla, decide di ritirarsi.
Con la liberazione dall’assedio si diffonde in Europa la fama dell’eccezionale difesa corinaldese, l’Arx Munitissima Corinalti  e Papa Leone X per premiare il coraggio della popolazione, il 6 dicembre 1517 elegge Corinaldo al rango di Città.

Leggi il racconto originale tratto da “Istorie del ducato di Urbino” (1642) di Vincenzo Maria Cimarelli

 

Correva l’Anno della nostra salute 1517, Francesco Maria della Rovere Duca di Urbino, essendo Leone X sommo Pontefice degli suoi Stati privato, sbandati gli eserciti, che militavano a Verona, e a Brescia, raccolse un grosso numero di Spagnoli, di Guasconi, d’Italiani e di altre Nazioni d’Europa, che oziosi per l’Italia dispersi trovavansi; e di questi formato avendo un grosso esercito, co’l suo valore desideroso nel Dominio allargar, assalì la Marca; e avendola tutta conquistata disegnò d’aver Corinalto d’accordo, giudicando il possesso di quella Piazza; e l’affezione de suoi Cittadini esser molto per i suoi interessi a taglio; essendo ella posta in bel sito, né confini dello Stato suo, alle prime frontiere di essa Marca.

Onde con gran premura fé con i principali Cittadini trattar gli accordi, facendo loro, e alla Patria de suoi favori, e segnalate offerte, quando alla protezione di lui volontariamente si sopponessero: si come all’incontro, intimò loro la guerra, minacciando al Paese e agli abitanti incendi, ruine e morti. D’onde gli Corinaltesi non meno che si aspre minacce intimoriti, che da gli infausti e tragici eventi dell’altre Terre della Provincia, che con ardire, e valore tentarono alle sue forze d’opporsi; promisero di volerlo per supremo lor Principe riconoscerlo, con sottomettersi all’obbedienza sua, e in segno di vero affetto, e vassallaggio, le chiavi delle Porte mandandoli della terra, con ricchi, e sontuosi doni, i quali dal Duca sprezzati non furono, anzi vennero con la pronta offerta della Patria, oltremodo graditi.

Egli così volle quei cittadini certificare della prontezza d’animo suo verso di essi, scrivendo una lettera patentale di favore, data nel suo felicissimo Esercito, appresso Mosciano li 4 di giugno 1517. E se ben’egli dé Corinaltesi fidavasi, ne punto della lor fede temeva, tuttavolta servando lo stile militare, appresso di se gli ambasciatori trattenne, che furono Brunoro di Viviano, e Ser Sante. Intendendo i giovani e gli più coraggiosi del popolo, quanto erasi a pregiudizio

della Patria risoluto, con notabile macchia della candida lor fede verso la Santa Sede Apostolica, con grande strepito, e rumore sollevaronsi, e dato di mano all’armi, corsero ad inchiodare della Terra tutte le Porte, con alzar i ponti delle medesime, lasciando solo la bianchetta della Porta di San Giovanni aperta, acciò che a paesani restasse il passo libero, quella vollero anco fosse con grosse guardie custodita.

Et avendo eglino penetrato, che un Cittadino di Stima, e più vecchio d’ogni altro in quella Patria, s’era grandemente opposto a si vile risoluzione, tosto a lui ricorsero, e con grande istanza lo pregarono voler esser con loro alla difesa della Terra dal nemico vicino.

Cercò questo buon vecchio con dolci parole, e molli discorsi di mitigar gli inaspriti petti de li infuriati giovani e all’obbedienza del magistero piegarli, persuadendo loro, che le risoluzioni de maggiori provengono da Dio.
Restarono persuasi questi del saggio dire del vecchio, in compagnia di cui si spinsero verso il Palaggio, avanti del quale tutto il popolo ritrovarono tumultuante in due parti: però che alcuni dal timore oppressi volevano consegnare in potere dell’inimico la Patria; e all’incontro li più arditi, con animo intrepido si disponevan difenderla.

Sedati i tumulti, convennero in generale radunanza tutti gli cittadini e tutti di conun consenso vollero sentire il parere del sopradetto vecchio. A si pietoso, e efficace ragionamento s’infiammarono alla difesa, e con lagrime destando la prima risoluzione, a viva voce conclusero che co’l valore, contro l’oste pugnando, si dovesse cancellare la sozza macchia della promessa fatta di darle in mano la Patria. E dal Confaloniere richiamato alla Piazza del Palazzo del Popolo, volendo inanimare tutti alla difesa, con parole simili, fé del Magistrato e dé Consiglieri la nuova determinazione, palese.

Restarono gli Corinaltesi, anco gli più ritrosi, dal sodo e fondato parlare del Confalonier persuasi, e tutti ad una voce gridarono, che si dovesse difender la Patria, essendo ciascheduno di voler perciò esporre, nonché la rabbia, ma col sangue la vita: Onde gli officiali, che già gli passati mesi furono del Conseglio per questo effetto eletti; incominciarono ad esercitare gli offici loro; imperoché alcuni mettevano alle mura, e alle Porte le guardie: altri facevano ingombrare le strade, acciò che alla Terra non potesse accostarsi la cavalleria nemica. Altri facevano dentro i contadini del Territorio venire. Chi nei migliori posti delle muraglie aggiustava l’artiglieria, che nei luoghi più deboli faceva con tereno e con fascine controscarpe alle stesse mura. E finalmente ogn’uno in quelle cose affaticavasi, che parevano esser più per lo presente bisogno espedienti. E perché temevasi grandemente che l’assedio fosse per lungo tempo durare. Venuto da Montenovo de nemici l’esercito, per assalto in breve lo prese, con infinita crudeltà e ingordigia saccheggiandola, non portando a luoghi sacri ne meno a Sacerdoti rispetto.

Compito il sacco di Montenovo i medesimi se ne vennero infuriati a Corinalto, con disegno, dopo il sacco, di rovinarlo e seminar sale. Onde strettamente l’assediarono, piantando le tende nel Colle, che verso Ponente sta un terzo d’un miglio dalla Terra distante; il quale per esservi stato fin al principio della Religione de Padri Cappuccini Vecchi al presente si noma. Vollero i capi dell’esercito per attirare i Corinaltesi, far morire nel seguente giorno in faccia lor, di morte infame gli ostaggi suddetti come ribelli: perciò la sera fecero a suon di rauche trombe, e sconcertanti tamburi pubblicar la sentenza.

Nel mezzo della notte accorgendosi, che le guardie alla custodia loro deputate, non solo stavano immerse nel sonno; ma in niun luogo del campo si sentivano strepiti, presero ardimento di tentar la fuga; ed essendosi svilupati dai laccci con poca fatica, l’un l’altro aiutandosi, fra il silenzio, e le tenebre occultamente

verso Corinalto s’inviarono; e con quelli, ch’erano pratichi dei passi, sapparono incogniti alle sentinelle in mezzo, e giunti alla Porta di San Giovanni, dietro notizia di loro alle guardie, dalle quali ratto furono introdotti per la Bianchetta, e dagli difensori tutti con sommo giubilo ricevuti.

Vedendo gli Corinaltesi, che da gli inimici d’ogni intorno stavano assediati, i quali passando dal numero di 23 miglia combattenti, tutti i colli che spondeggiano Corinalto dalla parte di Ponente coprivano. Il Duca, commandò, che si fabbricassero gran numero di scale di altezza corrispondenti alla stessa misura: e il terzo giorno d’assedio volle, che rotti col maggior empitopossibile, i ripari, in grosso numero i più valorosi dell’Esercito le fosse entrassero, con dar la scalata, e conquistar la Piazza. Ma ritrovossi ingannato; perché gli difensori arditamente resistendo, con disonore e danno a dietro gli ributtarono. Da si gagliarda resistenza il Duca restò maravigliato molto; sapendo certo che dentro non trovavansi altri forestieri, de li ducento Corsi.

Accorgendosi perciò il Duca che niun progresso facevano i suoi pezzi, attribuendo alla lontananza il difetto, gli fece in altro posto più vicino, e di maggior vantaggio trasportare, per esser in diametro alle mura opposto: ma col luogo non mutò fortuna; perché essendo le mura di Corinalto dalla parte Borea, di dove potrebbero ricevere qualche danno dalle batterie, dal picciol Colle di San Francesco riparate, e a questo effetto insieme col’istesso Convento anche terrapienate gli colpi dell’artiglieria o morivano in quel terreno, o sopra la Terra passando, non facevano altro danno, che col fischio tener i difensori svegliati. Non si perdé d’animo per queste nuove disavventure il Duca; ma tenendosi per sicuro che presto dovesse le munizioni alli Difensori mancare, sperava finalmente di pigliar la Piazza. Avendosi gli Assediati, che per aver nell’ultima difesa consumata gran quantità di polvere salnitro, ed ogni altra sorte di

monizione, quando l’inimico tornasse a nuovi assalti, difficilmente avrebbero potuto resisterli, cascarono tutti in gran confusione e timore. Il vecchio, che fu autore della difesa, subito cercò rimediarvi, col mostrare a tutti, che se bene mancava loro la munizione del fuoco, nondimeno potevano col ferro agevolmente difendersi, stante l’artif’ciosa posizione delle mura. Ruttavia per non mancare alla diligenza dovuta, fece tosto pubblicare a suon di Tromba, che bastando l’animo ad alcuno del popolo di passar tra gli inimici, e andar a Sinigaglia a pigliar quattro some di polvere da munizione, avrebbe proveduto di Muli e Cavalli; e per premio della fatica, e pericolo, a cui sarebbe sposto, la propria casa gli offerse.

Un ceto religioso eremitano della famiglia de Godicini, avendo questo gran bisogno de suoi Compatriotti, saputo, l’offesa voler tentar l’impresa; stimolato piuttosto dalla pietà, che dalla speranza del premio: Onde la sera del medesimo giorno partì dalla Terra per Senigaglia; e alla mattina all’Aurora ritrovossi di ritorno a Corinalto, con li muli di polvere carichi, e d’altra munizione più necessaria; il che a tutti fu di grande stupore, non tanto per la celerità del viaggio, che in una breve notte dell’Estival Solstizio, andando, e ritornando, avesse camminato venti lunghi miglia, quanto ch’esso passato essendo con gli animali a gl’inimici in mezzo, non fosse da quelli veduto e impeedito.

Entrata in Corinalto questa desiata munizione, fecero i difensori gran segno d’allegrezza: e per mostrar a gli inimici che abbandonati erano da più parti delle fosse uscendo, con loro venivano a scaramucce archibugiando e bombardavano il campo. Ed esendo al Duca una mattina (mentre Pranzava), stata una palla portata, che dalla Terra venuta, era di rimbalzo negli alloggiamenti entrata; disse, che per la sonnolenza de suoi Soldati, quella Piazza era stata soccorsa: si che d’intorno a lei accorgendosi non potevi far altro progresso, non volle perder più tempo. Onde ordinò che tosto si disponessero alla partenza, e ad

abbandonar quelle mura, sotto le quali dopo esser statu ventitré giorni, prese il viaggio verso il suo Stato di Urbino.

Vedendosi gli Assediati per la partita degli avversari, liberi, fecero dalla Rocca Contrada la parte debole del popolo ritornare, e tutti insieme riconoscendo solo da Dio e dall’intercessione dei Santi, (specialmente S.Anna loro avvocata in Cielo) questa si illustre e segnalata vittoria, non celebrarono (come si suo fare in si prosperi eventi), superbo trionfo: ma di loro peccati contriti, con umiltà profonda, coperti di sacco, processionalmente circondarono più giorni la Terra, cantando con solenni riti, Inni e Salmi in ringraziamento a Dio di questo memorabile beneficio.

Tutto questo notificò l’istesso Pontefice Leone Decimo in un Breve ch’egli spedì a favore di Corinalto, ove celebra sopramodo la fede e la fortezza loro, particolarmente in questa difesa, come in esso vedere potrassi, che qui a basso copiato si stende.

ATQUE IDEO, CLAVA MUNITO CORPORE, SALTAS, ET GALEAE ASSIDUO PONDERE PRESSA COMA EST. SEPIUS HOC HOSTEM PELLIS CORYNEPHOROS AGRO MILES AD INGENTES; UNDIQUE CURRIT OPES.

 

                                                                                  Vincenzo Maria Cimarelli

 

 

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Corinaldo, tra i borghi più belli d’Italia

    

One thought on “Storia di Corinaldo

  1. “L’attraente ma misurata Corinaldo è proprio una cittaduzza dismemorante, rasserenatrice, favorevole ai pigri indugi ed alle svagate fantasie. Anche l’ospite che vi giunge per la prima volta non tarda a rendersene conto. Effetto di questa benigna temperie ambientale è che i corinaldesi in genere – fatte ovviamente le debite eccezioni – non amano arrabattarsi oltre misura per le esigenze materiali della vita […]” dalla “Ricerca del paese più bello del mondo” di Mario Carafòli

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