Beniamino Gigli, il belcanto senza divismi
Beniamino Gigli (Recanati, 20 marzo 1890 – Roma, 30 novembre 1957)

LA VITA ISPIRO’ IL SUO CANTO

Nel 60° dalla sua morte

 

 

di Alessandro Casavola

Il 30 Novembre 1957 moriva nella sua casa di Roma Beniamino Gigli a 67 anni per un attacco d’asma. Spezzava il cuore quella sua voce non più riconoscibile, che si sarebbe voluto sentire ancora per tanto tempo…

A Recanati, sua città natale, è stato ricordato con una corona deposta sulla sua tomba, ad Ancona nel ridotto delle Muse con una video-conferenza. Ancora a Recanati, nel Teatro Persiani, con un concerto di arie da opere da lui interpretate. Ma dubito che le voci dei tenori abbiano evocato la sua…La voce di Gigli non è ancora rinata.

Talvolta ci è sembrato che quella di Pavarotti, ohimè anche lui scomparso, si trasferisse nelle tonalità più calde, acute senza essere forti, angeliche di Gigli…A questo proposito è lui stesso che riferisce che da ragazzo aveva avuto un registro di voce da soprano, al punto da essere ingaggiato per un ruolo femminile…Proviamo a ricordare qualche tratto della sua vita? Figlio di genitori poveri, Gigli è subito notato, nel paese, per la predisposizione al bel canto. Scampa le traversie della vita militare, un imbarco per Tripoli e poi un servizio effettivo al fronte nel 1915, perché possa coltivare la sua voce studiando. E così allieterà i soldati che partono e ritornano dal fronte…E’ debuttante a Rovigo nel 1914 a 24 anni con la Gioconda, è già in vista a Milano nel 1918 col Mefistofele diretto da Toscanini. Nel 1920, a trentanni, è al Metropolitan di New York. I giornali americani lo definiscono il tenore più grande del mondo…Resterà in America sino al 1932, con saltuari ritorni a casa, intascando favolosi guadagni che gli consentiranno di costruire a Recanati, o più precisamente in contrada Montatrice tra Loreto e Recanati, una villa hollywoodiana con 60 stanze, 23 bagni, una piscina, e cosa più interessante un portico con colonne che sembra un proscenio di teatro…

Chissà se i senigalliesi ricordano che nell’atrio del Politeama Rossini, ormai chiuso, c’era una targa posta nel giugno 1958, ad un anno quasi dalla sua morte, che diceva “La vita ispirò il canto di Beniamino Gigli, cordiale, senza divismi, sovranamente tenero e sereno…”

Si sa che le targhe agli scomparsi concedono sempre qualcosa in più…allora dobbiamo dire che Beniamino Gigli non rifuggì da realizzazioni da divo, ne abbiamo dato la dimostrazione…Ma il popolo se lo riappropriava quando lo invitava a cantare dovunque lo incontrasse, e a Gigli piaceva cantare “in borghese”e quando gli chiedeva ed otteneva aiuti per ospedali, case di riposo, scuole. Nel 1955, lontana ormai la verde età, ritornò in America per salutarla definitivamente. La tournèe lo riporterà non solo in America, ma anche nelle altre parti del mondo dove era stato. Volle che i concerti dati al Metropolitan, al suo Metropolitan così diceva, fossero incisi per risentirli da vecchio…”con il canto, il batter di mani, le grida, i colpi di tosse e tutto il resto “così annoterà nell’autobiografia. Non penso che questo voler rievocare, come in un film, proprio successo possa definirsi un sintomo di divismo. Ne “il suo Metropolitan” potrebbe far pensare che solo in America avesse trovato la platea ideale, strutturalmente intesa…invece la trovò a Catania nel Teatro Bellini. “Il Teatro Bellini a Catania è, a mio giudizio, il teatro d’opera più bello e più acusticamente perfetto del mondo…I suoi colori e le sue proporzioni si fondono in un’armonia che non mi stanco mai di contemplare…”

Quella targa diceva ancora: la vita ispirò il suo canto…Proprio così: a Roma nel 1941, recitando nella Carmen si svelava un attore passionale “Ero talmente innamorato di Carmen, torturato dalla gelosia per Carmen, consumato dalla mia bramosia per Carmen” chissà che non fosse anche questo un modo per cantare al meglio nei ruoli che gli venivano assegnati?

Quella targa concludeva: “La famiglia marchigiana al conterraneo glorioso questo ricordo, nel Teatro ove, il 3 Settembre 1953, la gioia di tutti palpitò per la sua voce”. Sempre dall’autobiografia sappiamo che per quella Carmen non solo la gioia ma la partecipazione alla sofferenza scenica penetrò nei cuori: anche i critici in sala piansero…

E chi non si è sentito i lacrimosi agli occhi ascoltando la canzone di Bixio Cherubini “Mamma solo per te la mia canzone vola”. Anche questa canzone ispirata dalla vita? Certo, la sua vita di figlio lontano, in giro per il mondo. La notizia della morte di mamma, a cui prometteva ogni anno il ritorno, allontanandosi dall’Italia, lo atterrò il 24 settembre 1930, quando gli fu consegnato un cablogramma. Stava per cantare la Mignon a San Francisco. Annoterà: “Aveva 83 anni. Non potevo biasimare il destino. Malgrado ciò averla perduta fu la tragedia suprema della mia esistenza. Nessun altra relazione umana avrebbe mai potuto colmare quel vuoto…Ristetti alcuni minuti in camerino, la testa fra le mani fissando attonito quel cablo-gramma. Non potevo permettermi di piangere, proprio in quel momento, perché sapevo benissimo che, se mi fossi abbandonato, non avrei saputo dominarmi. Allora entrai in scena e cantai.”

Il Resto del Carlino la domenica del 1^dicembre 1957 intestò così la notizia: “E’ morto Beniamino Gigli il tenore dei cinque continenti”, ma più interessante l’osservazione dell’autore dell’articolo, Massimo Dursi, con un riferimento alle critiche mosse al cantante per essersi esibito per l’Italia fascista e per la Germania hitleriana a differenza, per esempio, di Toscanini: “Non domandiamo opinioni politiche alle belle voci…finchè il belcanto fiorisce non appassiranno le speranza di pace…finchè i cantanti, che girano per tutto il mondo, prevarranno. Che Iddio, allora, faccia nascere più tenori che scienziati e muti gli scienziati in tenori e soprani.”

 

Nota Bene: A completamento delle informazioni fornite dall’articolo, potrebbe essere utile il giudizio espresso nell’Enciclopedia “Le Muse – De Agostini”: La sua fama poggiò più che sulle qualità dell’attore sulla carezzevole dorata omogeneità del timbro della voce, e sulla fonazione perfetta che nascondeva ogni sforzo di fiati e artefici tecnici. Benché affrontasse il repertorio romantico sembra più corretto classificarlo tra i tenori di un verismo languido”

L’autobiografia, citata nell’articolo, è intitolata: “Il romanzo della mia voce” Pagano-Editore, Napoli 1999.

 

 

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