Difendo la “mia” regina innocente
Ho scelto di chiamarmi Maria Antonietta perché a me è sempre stata tremendamente simpatica la regina che nell’immaginario di tutti, rivolgendosi a chi le ricorda che il popolo non ha il pane, risponde “che mangino brioches”. Anche perché quella frase non l’ha mai detta: è un falso storico.
Maria Antonietta non era una santa, ma neanche un mostro di avidità e irresponsabilità. Provateci voi, a lasciare la famiglia e la patria, a 14 anni, per un matrimonio combinato, che non riuscite nemmeno a consumare per i primi 7 anni (nel frattempo vostra madre dall’Austria vi scrive lettere di insulti, accusandovi di essere un fallimento come donna). Immaginatevi di essere in una corte ostile, mummificata dall’etichetta, in cui siete soggetto di pamphlet pornografici e in cui vi apostrofano per disprezzo “l’Austriaca”, insomma la straniera, ma non solo. L’autrichienne veniva pronunciato infatti con una certa enfasi su quel chienne finale, che, letteralmente, è la femmina del cane. Di certo avreste anche voi cercato qualche distrazione, il modo di annegare la solitudine e la tristezza; e comunque non più di tutta la restante aristocrazia europea. Ma da qui ad essere colpevoli di tutto, dal tracollo economico della nazione, all’ingiustizia sociale, passando persino per l’incesto, ce ne passa.
Eppure Maria Antonietta ha catalizzato l’odio e la rabbia di secoli di soprusi e prevaricazioni, perché la storia procede per semplificazioni, appiattendo le persone sui personaggi: ci servono. Ci servono soprattutto quelli detestabili, gli antipatici senza appello, quelli a cui accollare tutta la responsabilità.
Ma se guardassimo la realtà da un angolo diverso, vedremmo sicuramente anche la regina bambina disperata dei primi anni a Versailles, la giovane donna che rifiuta di salvarsi pur di restare accanto alla famiglia, quella che con la testa sul ceppo della ghigliottina, urtando il boia, dice: “Pardon, monsieur, non l’ho fatto apposta!”
di Maria Antonietta, tratto da “Sette”, Corriere della Sera