Azienda vinicola Santa Barbara
E’ partito da zero: zero vigneti, zero cantina. Solo un capannone da bibitari. Stefano Antonucci lavorava in banca, dopo 18 anni si è licenziato. Ha incassato la liquidazione e firmato un pacco di cambiali. Venticinque anni dopo è un vignaiolo sul podio. Dopo il premio ricevuto dalla guida 2019 I 100 migliori vignaioli e vini d’Italia del Corriere della Sera è volato a Londra per ritirare quello dei sommelier inglesi. Poi via, a Miami, per rifornire le cantine dei migliori ristoranti della Florida con i suoi Verdicchio e i suoi rossi marchiati Santa Barbara.
“Mio padre era un fornaio”, racconta Antonucci, “nel 1986 gli ho chiesto di rilevare la quota che possedeva in una società con tre amici. Facevano aranciate, gassose e un po’ di vino da tavola. In pochi anni, mentre ancora lavoravo part time alla Cassa di Risparmio di Jesi, ho rilevato le quote degli altri soci. E a quel punto mi sono dedicato solo al vino. Ho inventato tutto da solo. Non è stato facile vendere all’estero: qui siamo nelle Marche, non in Toscana o in Piemonte. E una bottiglia costa pochi euro”.
Ora Santa Barbara può contare su 25 ettari di proprietà e 18 in affitto. “Quando ho iniziato”, continua Antonucci, “il Verdicchio dei contadini era molto diverso da quello attuale. Era imperfetto, talvolta puzzava. C’erano grandi aziende, come Fazi Battaglia, e bravi vignaioli come Ampelio Bucci. Ma poco altro. Io ho cominciato con le botti migliori, poi sono passato dal legno all’acciaio. E ho dimostrato che il Verdicchio è uno dei più grandi bianchi del mondo”.
Ventidue le etichette di Santa Barbara, tra vitigni autoctoni e internazionali. Tra i primi spicca il Verdicchio dei Castelli di Jesi Tardivo ma non tardo. Uno dei punti di forza è il Verdicchio Le Vaglie, trecentomila bottiglie all’insegna della freschezza. Raggiunti i suoi obbiettivi, Antonucci, con l’enologo Luigi Lorenzetto, fa un passo indietro. “Torno alla tradizione con due vini che si chiamano Back to basic, Un Verdicchio e un Sangiovese. Li faccio come una volta, con una lunga macerazione sulle bucce dell’uva e senza filtrazioni. E’ il vino del contadino moderno. Come i due nuovi biologici, Pecorino e Passerina”.
di Luciano Ferraro, tratto dall’inserto “Sette” del Corriere della Sera