La prima persona in Italia che legalmente ha potuto scegliere il suicidio medicalmente assistito
Ciao Federico ora sei libero di volare dove vuoi
Federico Carboni, da tutti conosciuto come “Mario”, racconta la sua battaglia durata 20 mesi per ottenere l’accesso al suicidio assistito in un video registrato pochi giorni prima della sua morte e consegnato a Filomena Gallo, segretario nazionale dell’associazione Luca Coscioni e coordinatrice del collegio di difesa con cui ha affrontato l’iter giudiziario. Come da indicazione dello stesso Federico Carboni, il contenuto viene reso noto il giorno dopo del decesso. Federico Carboni è la prima persona ad aver ottenuto l’accesso al suicidio assistito in Italia, sulla base di quanto previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale 242\2019.
«Ci uniamo all’auspicio di Federico – commenta Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni – dal giorno successivo il compimento del suo aiuto al suicidio riteniamo sia indispensabile un’inversione di rotta sull’attuale testo di legge. Ma leggiamo che anche il Ministro Speranza, dopo il Segretario del Pd Letta, insiste oggi sulla importanza di una legge facendo riferimento al testo attualmente in discussione che Pd e il Movimento 5 stelle non sembrerebbero disponibili a modificare. Dobbiamo tornare dunque a chiarire che, grazie alla tenacia di Federico Carboni, da oggi la questione si pone in termini completamente nuovi. Avere potuto Federico ottenere l’aiuto medico al suicidio grazie all’ associazione Luca Coscioni e al dott. Mario Riccio crea un precedente di portata “storica”, come lo stesso Federico lo ha definito nel suo commiato alla vita. Approvare definitivamente al Senato una legge come quella votata dalla Camera, che restringe i paletti di ciò che è già possibile fare in base alla sentenza della Corte costituzionale, sarebbe ormai inutile. Spacciare tale obiettivo come la nuova frontiera avanzata dei diritti civili sul fine vita in Italia diventa ormai una presa in giro. Una legge servirebbe eccome, se eliminasse le discriminazioni tra malati e introducesse tempi certi per le procedure. Di meno, come è il caso della legge Pd / M5S nella versione attuale, che impone criteri ancora più restrittivi, non è accettabile, perché rischierebbe di rendere ancora più difficile il percorso per i futuri Federico Carboni e Mario Ridolfi. C’è bisogno di una legge, non di ulteriori giochini elettoralistici sulla pelle dei malati».
Una vita scandita da un prima e un dopo. L’incidente stradale seguito da 12 anni di tetraplegia. E poi una battaglia legale che si è conclusa con una svolta storica. Mario (nome di fantasia) è la prima persona in Italia che legalmente ha potuto scegliere il suicidio medicalmente assistito. E prima di farlo ha deciso che era arrivato anche il momento di svelare al mondo la sua vera identità: non si chiamava “Mario”, come abbiamo imparato a conoscerlo, ma Federico Carboni. Aveva 44 anni e viveva a Senigallia. “Vi auguro buona fortuna, vi voglio bene”, ha detto sul letto d’ospedale. Poi ha premuto il tasto per azionare l’ “aggeggio” come lo chiamava lui, per far arrivare alle vene il farmaco mortale. E’ deceduto alle 11.05 di una mattina afosa di giugno. Il 16 giugno, per la precisione, una data che rimarrà nella storia del nostro Paese, perché ha sancito un prima e un dopo senza precedenti.
Suicidio assistito, la legge che non c’è
La storia di Federico è un passo in avanti sul fronte del fine vita. Ma comunque in Italia continua a non esserci una legge che ne definisca le regole e i confini (approvata lo scorso marzo alla Camera è rimasta incagliata in Senato). E non c’è malgrado il richiamo della Corte Costituzionale che nel 2019 sollecitò il Parlamento ad approvarla. La Corte si stava esprimendo sul caso di Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Coscioni che aveva accompagnato in Svizzera a morire Fabio Ridolfi, dj Fabo, tetraplegico dopo un incidente stradale. Tutto questo per annullare le atroci sofferenze che stava vivendo. Cappato non era punibile perché il caso di dj Fabo rispettava tutte e quattro le condizioni fondamentali che permettono la pratica: essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitali; essere affetti da una patologia irreversibile; essere affetti da una patologia fonte di sofferenze intollerabili; essere pienamente capaci di prendere decisioni libere e consapevoli. Anche per Federico Carboni valevano queste condizioni, riconosciute dalla sua Asl di riferimento (la Asur Marche) dopo quasi due anni di battaglie legali, fra cause penali, ricorsi, diffide. “Due anni di ostinazione e determinazione“, come li ha definiti Cappato, in prima linea al capezzale di Federico insieme a Filomena Gallo, avvocata e Segretaria nazionale dell’ Associazione Coscioni, ma anche a parenti ed amici. Inchiodato al letto e sofferente più di sempre per un’infezione che lo tormentava da settimane, Federico se ne è potuto andare sereno.
Federico hai fatto la storia e non c’è stata una voce “ufficiale” della tua città ad avertelo riconosciuto. Il NYTimes ne ha parlato e da Senigallia nemmeno due righe, da parte di chi ci amministra, di vicinanza alla tua famiglia. Le parole di tua mamma mi hanno profondamente segnato. Vola Federico vola