– Tu non puoi capire! – Disse la ragazza tirando su col naso.
– Certo che non ci riesco, è l’ennesima volta che ti succede. Son stanca di tirarti fuori dai guai tutte le volte –
Scese il silenzio dentro la stanza del commmissariato. Somigliava ad un soffocante lenzuolo che non permetteva il respiro. La poliziotta guardava con aria di compassione quella ragazzina dal viso dolcemente stanco. Non era questione di borse sotto gli occhi, nè di sonno arretrato. Era difficoltà di vivere.
La signora tentò di fare una carezza alla sua interlocutrice, ma non fu ben accettata.
– Perché mi tiri fuori dalla galera? – Gli occhi di ghiaccio perforarono l’anima della donna.
La ragazza si guardò le manette lucenti che le stringevano i polsi. In quel preciso istante la sua immagine era lo specchio del suo disagio. Si trovava con un’intelligenza mostruosa e le mani legate dalla sua nazione. Era la terza volta che rischiava il carcere e puntualmente veniva tirata fuori da quella persona. Non sapeva se esserne contenta. Quasi lo desiderava di essere rinchiusa in uno stanzino senza luce e senza speranza di redenzione. Per come agiva, se lo meritava fino alla morte. La legge parla chiaro.
– Vengono a togliertele presto, poi sarai di nuovo prosciolta. Questa, però davvero l’ultima volta che ho pietà di te. Devo imparare ad essere imparziale. –
– “Devi imparare ad essere imparziale…” ed io sarei una delinquente, vero?
– Non cominciare di nuovo! Ci tieni o no alla libertà? –
Il viso della ragazza si dipinse di un’espressione d’odio profondo e disgusto. Si aprì la porta ed un poliziotto le sciolse le mani. Poi la guardò, le dette un piccolo colpo sulla spalla e le ordinò di “evaporare” dal commissariato.
– Agli ordini! –
E se ne uscì con passo deciso e a testa alta.
Fuori era buio e ne era un po’ spaventata. la città era tranquilla, da tanto non esisteva nemmeno l’ombra di un assassino, di uno stupratore, di uno spacciatore. Non erano gli uomini ad essere cambiati, ma i reati. Nelle carceri si ammassavano persone diverse da prima: uccisori di felicità, stupratori di comodità e spacciatori di valori. Quelli sì che erano terribili. Eppure la ragazza tra i prigionieri si sarebbe sentita meglio. Era la terza volta che la fermavano mentre compiva “atti osceni in luogo pubblico”. Ma lei non era sicuramente lo stereotipo di ragazza facile. Non aveva nemmeno un uomo vicino e non s’era neppure spogliata. Si guardò attorno un attimo ed alzò gli occhi al cielo. Sorrise perché c’erano le stelle a tenerle compagnia. Le osservava ogni volta che si sentiva debole, perché aveva bisogno di essere confortata, coccolata da qualcuno più grande. Prese respiro e mandò un bacio al manto blu che la sovrastava. Ancora col naso all’insù e il commissariato alle spalle, si fece forza e decise di colmare la sua esistenza. Corse più veloce che poteva verso quel luogo segreto che solo lei conosceva. Attraversò le strade e vide gli spazzini voltarsi al suo passaggio e ridere di lei, ma questo non le importava. Arrivò alla sua meta con il fiatone. Cominciò a tastare lungo il muro della casa abbandonata, finché non scovò la fessura che stava cercando e che nascondeva ciò di cui aveva bisogno. Tornò davanti alla polizia e di prepotenza si mise a lavorare. Aveva il passamontagna e il cappuccio che le copriva metà viso. Con pazienza si inginocchiò e realizzò quello che aveva in mente. Si sentiva euforica, soddisfatta e piena di vità. Sembrava avesse ingoiato una scatola intera di vitamine ed era al colmo della realizzazione. Poi di botto si aprirono le porte e lei non si mosse di un pelo.
“Allarme rosso, soggetto pericoloso davanti alla stazione di polizia.”
E fu il disastro.
S’udì un colpo.
Poi un grido lancinante che squarciò la coperta stellata.
Un tonfo. La ragazza sorrise cadendo a terra.
I passanti si radunarono attorno al corpo.
– Perché quella poliziotta piange il quel modo? Non sa forse qual è il trattamento per questi sporchi bastardi? –
– Quella appena uccisa era la figlia –
E sputarono per terra il segno di sdegno, mentre il sangue copriva l’asfalto. Una scritta fatta con una bomboletta riluceva davanti al corpo senza vita: “freedom”
Susanna Starna