Il più importante artista italiano del gotico
di Elena Piaggesi
Il più importante artista italiano rappresentante del gotico internazionale è senza dubbio Gentile da Fabriano, marchigiano di nascita ma ben presto la sua carriera lo portò a migrare verso le più importanti corti umanistiche della penisola.
Qualcosa lasciò a Fabriano, le testimonianze della sua prima formazione, ma nulla oggi è rimasto, non ci sono opere di Gentile o almeno ancora nulla è stato scoperto tra quegli antichi intonaci che spesso hanno riservato sorprese.
Il passaggio dei secoli e la continua attività sismica, hanno messo a dura prova le strutture architettoniche della città che si sono rinnovate e modificate più volte nel tempo.
Sui resti sono stati eretti nuovi edifici, la lungimiranza degli architetti fabrianesi, che non sempre hanno distrutto per ricostruire, cosa assai comune nelle epoche passate, ha permesso oggi, la conservazione di costruzioni in cui, stili appartenenti ad epoche lontane tra loro, a volte celate a volte manifeste, convivono in un unicum architettonico.
Entrati nella cattedrale di San Venanzio, la cui ultima costruzione risale al 1600, non si scorgono apparentemente tracce della primigenia chiesa, che dovrebbe risalire al periodo gotico, nulla lascia pensare, ad una struttura di epoca diversa.
Anche l’imponente rappresentanza della pittura controriformata, che si dispiega lungo le pareti delle navate, con opere di Orazio Gentileschi, di Giovanni Francesco Guerrieri, di Salvator Rosa è a supporto di una datazione di inizi Seicento.
Il primo sentore di uno stacco temporale, che di lì a poco lascerà attoniti, è accennato dalla statua lignea alle spalle dell’altare, sicuramente di epoca tardo medievale, di una così fine fattura che difficilmente può essere un esemplare singolo, suggerisce infatti un passato ricco di testimonianze straordinarie.
Da uno degli stalli del coro si accede nell’intercapedine del muro, qualche metro in tutto, si entra dentro quel ultimo baluardo della costruzione trecentesca, qui si apre alla vista una parete interamente affrescata. Una narrazione quasi completa delle storie di San Lorenzo.
Autore di tale eccezionale opera è Allegretto Nuzi, una delle figure più importanti dell’arte trecentesca fabrianese, la cui ricerca artistica assieme a quella del Maestro di Campodonico e di Francescuccio di Cecco Gissi, diede voce ad un periodo molto florido per la città marchigiana.
Quando Fabriano divenne Comune attorno alla metà del 1100, riuscì in breve tempo ad ampliare i suoi possedimenti assoggettando i feudatari del contado, che ripagati dalla sicurezza di una pronta difesa militare, annessero i loro possedimenti al Comune.
Il cospicuo numero di chiese, erette in questi secoli, portò con se l’ingente richiesta di cicli decorativi e di opere d’arte, tale richiesta fu prontamente assecondata dalla nascente signoria dei Chiavelli, incontrastati signori per più di un secolo.
Durante questo intenso periodo, che va dalla metà del 1300 al 1435, data storica in cui una congiura sterminò l’intera famiglia all’interno della stessa cattedrale, prese avvio una produzione artistica che per la sua omogeneità stilistica è possibile annoverare come “scuola pittorica”.
Capostipite fu lo stesso Allegretto Nuzi del quale oggi si conservano a Fabriano alcune testimonianze sia su tavola, conservate nella Pinacoteca civica, sia alcuni cicli di affreschi sopravvissuti ai secoli e alle calamità. Straordinarie sono anche le storie di sant’Orsola site nella chiesa di San Domenico che narrano, oltre alle storie della santa, le vicende legate a San Nicola. A monito dei due cicli, collocati nelle due pareti frontali della cappella, un enorme San Michele arcangelo che sovrasta la struttura occupando un’intera parete.
Gli affreschi presenti in San Venanzio, sono una delle più alte prove artistiche del fabrianese, un ciclo che in origine era sicuramente più ampio, la stessa struttura della volta lascia intendere che le pareti decorate erano probabilmente il doppio.
Nella parete lunga si narrano le vicende di San Lorenzo che alternano, in un fondo blu scuro che fa da quinta a tutte le rappresentazioni dei luoghi esterni, una diversificata gamma di espressioni, dalla calma e quieta rappresentazione di Lorenzo giovane che presenta i poveri all’imperatore, al dramma che si esalta nelle scene del martirio.
Un San Lorenzo cinto nella sua dalmatica rosso scuro, che parla una lingua volgare come le scritte che accompagnano le scene, non si lascia intimidire dai carnefici, l’urlo soffocato che esce dalla bocca del santo, mentre lo trafiggono con gli aculei, non provoca la benché minima reazione nei visi degli aguzzini.
Pur avendo la pittura di Allegretto un richiamo alla pittura senese del Trecento, conosciuta sia durante il suo soggiorno toscano sia per la presenza a Fabriano di Puccio di Simone, nel ciclo di San Lorenzo non è del tutto occultato il richiamo alla scuola fiorentino-giottesca.
Non sono però i tentativi, ancora forzati come ben visibile nella Madonna in Trono sopra l’entrata, di una ricerca volumetrica elaborata, ad attirare l’attenzione e lo sguardo, ma sono la minuzia e la precisione delle parti decorative, delle vesti, delle barbe che, a tratti, si illuminano come colpite da raggi di luce, sono le linee dei disegni marcati che definiscono le figure in modo puntuale e preciso.
Questo è un linguaggio che seppe sì parlare al volgo ma seppe anche conquistare quella classe signorile che negli ori e nei decori sfoggiava la sua supremazia; non a caso da qui partì Gentile con la sua arte che conquistò le corti più prestigiose della sua epoca.