Giulio Cantalamessa ritrae Cecco d’Ascoli
Un nome passato in sordina ma di grandissimo valore
Tra le opere meno note, davanti alle quali oggi si procede speditamente, poco considerate per quel carico forte di significati politici non più condivisi, vi è un dipinto conservato al museo di Ascoli Piceno ad opera di Giulio Cantalamessa.
Un nome che è passato anch’esso in sordina, senza portarsi dietro l’eco fragoroso che altri importanti personaggi, vissuti in secoli più fortunati dell’Ottocento, si sono conquistati. L’atteggiamento contemporaneo verso la pittura e più in generale l’arte del tardo Ottocento è tutt’ora, a ormai più di un secolo di distanza, fortemente influenzato da quel rifiuto verso l’accademismo ereditato dalle avanguardie storiche, futurismo in testa.
Paradossalmente sentiamo più appartenenti alla nostra cultura espressioni artistiche antiche, l’idea della bellezza classica o lo spirito del Rinascimento; rispetto a quel momento storico in cui, in fin dei conti, si è determinato l’assetto politico e culturale che a grandi linee ancora ci governa; davanti alle passioni dei cantori risorgimentali le distanze si fanno nette.
Emblematica e appartenente a quella pittura ottocentesca definita storica, l’opera di Cantalamessa ritrae un suo illustre concittadino, Cecco d’Ascoli, durante una lezione tenuta all’Università di Firenze.
Il carattere storico e la resa reale erano così fortemente perseguiti che l’artista si recò per un breve periodo nel capoluogo toscano al fine di studiare e rendere il più veritieri possibile i luoghi dove Cecco visse.
Una resa fedelissima anche dei personaggi, attoniti all’ascolto, l’abbigliamento è tipico dell’epoca di Cecco, lo stesso pittore si ritrae in fondo, seduto dietro l’oratore in posa pensierosa, distinti i richiami alla pittura a lui contemporanea, in particolare a quella di Francesco Hayez, in un perfetto revival neogotico.
Il dipinto venne commissionato nel 1872 dal Consiglio Comunale di Ascoli, l’esecuzione si protrasse per quattro anni, a causa della malattia nervosa che attanagliò il pittore fin da quest’epoca.
Un saldo attaccamento alle origini e soprattutto al proprio passato storico hanno determinato la scelta di un soggetto così fortemente distintivo, il dipinto del Cantalamessa tralascia comunque quelle istanze prettamente romantiche di raffigurazione tragica, piena di pathos, si sofferma piuttosto sulla rivalutazione del grande erudito ascolano.
La figura di Francesco Stabili di Simeone , più noto come Cecco d’Ascoli, è tra le più controverse e interessanti dell’epoca medievale; accademico, medico, astrologo, poeta visse tra il 1269 e il 1327 anno in cui, ancora per motivi non del tutto chiariti, venne condannato al rogo.
Trascorse parte della sua vita tra le Università di Bologna e Firenze, venne chiamato dal Pontefice Giovanni XXII ad Avignone come medico papale, la sua carriera medica proseguì alla corte calabrese degli Angiò, alla corte di Carlo, duca di Calabria. Un nefasto oroscopo fatto da Cecco alla figlia ancora piccolissima del duca, la futura regina Giovanna, proclamò il suo licenziamento.
Compose, ma non riuscì a portarlo a termine a causa della condanna al rogo, un poema didascalico in lingua ascolana dal titolo l’Acerba, una straordinaria raccolta delle sue concezioni politiche e delle conoscenze in campo scientifico, interpretato troppo spesso in chiave esoterica fu una delle probabili cause della sua condanna.
Ancora poco chiaro e giunto a noi come una mera disputa, è il rapporto tra Cecco e Dante, sicuramente Cecco non aspirava al raggiungimento dell’altezza poetica del fiorentino ma dai loro dialoghi, intercorsi attraverso le opere letterarie e attraverso lo scambio epistolare, si evince una forte ammirazione che Dante aveva per le conoscenze astrologiche dell’ascolano.
In un’epoca in cui, la fine dell’Ottocento, l’arte tende a rapportarsi dialetticamente con la storia, l’elogio di una figura trascurata, ingiustamente macchiata dall’eresia, assolve perfettamente alla necessità di una costruzione di identità nazionale e celebrazione del proprio passato.
Giulio Cantalamessa oltre ad essere stato un buon pittore, fu soprattutto un personaggio di grande importanza nell’ambiente artistico dell’epoca.
La conoscenza e l’ammirazione di Corrado Ricci e Adolfo Venturi lo portarono alla direzione di importanti musei come le Gallerie dell’Accademia a Venezia e, in seguito, la Galleria Borghese a Roma.
Oltre all’importante lavoro che egli compì per l’intera struttura museale italiana, che proprio in quell’epoca si stava organizzando per fornire un servizio pubblico volto alla consacrazione della storia collettiva, si distinse anche nel campo della critica d’arte.
Incentivato dal suo medico, come esercizio curativo, trascrisse i suoi pensieri; tra il 1913 e il 1923 raccolse 546 riflessioni sull’arte. Nonostante la sua ricerca pittorica sia l’emblema del periodo politico e sociale che l’artista si trovò a vivere, il grande valore di storico dell’arte, di amministratore e promotore dei beni nazionali lo annovera certamente tra i più illustri personaggi ascolani.
di Elena Piaggesi