Torquato Tasso gli dedicò la Gerusalemme liberata
È innegabile che per la creazione dell’“immagine Senigallia” non siamo molto favoriti dalle strutture pervenuteci dal passato; non vi ritroviamo molti monumenti che complessivamente siano alla pari di quelli di altre città a noi vicine (Fano, ad esempio). D’altronde di quello che abbiamo, poco viene illustrato alla cittadinanza.
Una presa di coscienza è comunque obbligatoria. Il nostro passato, da remoto a recente, vanta una folta schiera di cittadini distintisi nei più vari campi: giurisprudenza, poesia, teatro, musica, pittura, annalistica e storia, scienze e matematica, politica, armi, opere di pietà, dignità ecclesiastiche (un Papa e diversi cardinali). Sono veramente tanti e perlopiù poco conosciuti. Eppure, secondo noi, sono essi a costituire, insieme con i luoghi fisici (i Palazzi del Comune, del Duca, Baviera, Mastai, la Rocca, i Portici Ercolani, ecc.) quell’amalgama nel quale si sostanzia la senigalliesità, cioè la nostra identità. La loro conoscenza dovrebbe essere impartita o almeno suggerita alla cittadinanza, perché questa sia consapevole delle sue radici. Certamente è più facile criticare che agire; queste però non sono critiche, ma suggerimenti, che affiorano anche dagli scritti di cittadini che ci hanno preceduti nei due secoli scorsi.
Tra le cadenze storiche che ci riguardano, ricorre il quarto centenario della morte del primo Senigalliese che ricevette la porpora cardinalizia: Cinzio Passeri, morto nel gennaio del 1610. Dal Tiraboschi apprendiamo che era nato nel 1560 ed era figlio di Aurelio “eccellente Dottore di Leggi”, discendente da una famiglia “che era venuta ad abitare in Senigaglia circa l’anno 1450 in tempo che dominava l’istessa città Sigismondo Pandolfo Malatesta”, provenendo dalla Bergamasca. La loro casa era “situata nella strada maestra di Porta Nuova”. Aurelio aveva sposato Elisabetta Aldobrandini di Fano, sorella di due monsignori residenti a Roma. La vita di Cinzio fu condizionata dal sostegno soprattutto materiale dei due zii Ippolito e Giovanni, che lo indussero a cognominarsi anche Aldobrandini. A Giovanni si rivolse il cognato Aurelio Passeri, non essendo in condizione di sostenere le spese per gli studi di Cinzio.
Il ragazzo a 15 anni fu collocato nel Collegio Germanico di Roma; stava poi per intraprendere gli studi universitari, quando la morte dello zio lo costrinse a tornare a Senigallia. Sempre dopo sollecitazione del padre intervenne l’altro zio, Ippolito; Cinzio, frequentate le Università di Perugia e Padova, si addottorò in legge nel 1578. Lo zio Ippolito, divenuto Cardinale e poi Pontefice con il nome di Clemente VIII, lo prese al suo fianco, stimandone la serietà e competenza e lo creò nel 1593 Cardinale diacono di S. Giorgio al Velabro.
Per questo evento grandi “allegrezze” furono espresse dai Senigalliesi tramite il Gonfaloniere e i Regolatori; Cinzio, firmandosi come Cardinal S. Giorgio (così viene quasi sempre nominato nei nostri archivi) ringraziò commosso, dichiarandosi “amorosissimo ed obbligatissimo figliuolo di codesta Patria”.
I concittadini lo videro insieme con altri cardinali, tra cui il futuro santo Carlo Borromeo, nel corteggio papale, quando Clemente VIII il primo maggio 1598 si fermò a Senigallia sulla via per Ferrara.
È difficile riassumere in poche righe il vissuto di Cinzio. La sua fu un’esistenza privilegiata, ma non senza contrasti, che gli derivarono soprattutto da suo cugino Pietro Aldobrandini, anch’egli Cardinale. Ai due nipoti il Papa aveva affidato il governo pontificio con incarichi equivalenti tra i due: Pietro, però, aveva ambiziosamente cercato di avocare a sé la maggior parte del potere, irritando Cinzio al punto che questi si allontanò da Roma, per farvi ritorno dopo sette mesi, pregato dal Pontefice perché riprendesse i suoi incarichi. Le sue indubbie capacità furono riconosciute anche dal pontefice successivo, Leone XI, che lo nominò penitenziere maggiore. Citiamo quanto su Cinzio Passeri Aldobrandini figura in un testo del 1851, “Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro ai nostri giorni” di Gaetano Moroni: “All’affabilità e magnificenza, seppe unire profonda pietà, zelo per l’altrui salvezza, assiduità alla preghiera, parco nel sonno che prendeva sulla paglia, menando vita mortificata e penitente. Mecenate parzialissimo de’ letterati, ne mantenne parecchi in propria casa, in cui avea formata un’accademia di celebri scienziati […]. Fra questi […] il famoso Torquato Tasso che gli dedicò il suo poema […]” la Gerusalemme conquistata, e molti altri scritti minori.
Riteniamo doveroso concludere queste brevi note con le parole dell’autorevole senigalliese Luigi Mancini, che in uno scritto del 1924 sul Cardinale S. Giorgio affermava: “maggior ragione avremo di compiacerci di così insigne concittadino e di augurarci che il suo nome sia ricordato in qualche modo in una piazza, in una strada, in un pezzo di pietra qualunque, con quella onoranza che non è mancata a tanti altri, assai meno degni di lui: e di meravigliarci, francamente, che, in tanto fervore di esumazioni, nessuno ci abbia pensato mai”.
Flavio e Gabriela Solazzi