Il senso del movimento a vortice del Barocci
“Non s’è ancora deciso se il Barocci vesta i panni del portiere di notte del Rinascimento, oppure quello dell’usciere che spalanca le porte al nuovo giorno barocco”
Il 3 febbraio 1578 Federico Barocci chiese alla Confraternita della Croce e Sacramento di Senigallia 600 scudi per l’esecuzione di una pala d’altare raffigurante la Sepoltura di Cristo.
Il quadro sarà in realtà pagato la metà della somma pattuita, probabilmente per una erronea stima iniziale delle dimensioni. Non certo avvezzo, il Barocci, ad una rapida e sbrigativa consegna, il dipinto, dopo varie proroghe, arriverà a destinazione nella primavera del 1582.
Sennonché pochi anni dopo (1606 – 1608) il pittore si trovò a doverlo restaurare perché ritenuto dai confratelli talmente prezioso da dover essere lucidato costantemente, rovinandone la brillantezza e il colore.
Prolisso ma di una attenzione minuziosa ad ogni singolo dettaglio, ove questo nel caso specifico è punto focale della sua maniera artistica, il Barocci volle rassicurazioni sull’illuminazione della chiesa perché ribadì “come le pitture non hanno il suo lume,non mostrano quello che sono”.
Figlio tardo della Maniera, “non s’è ancora deciso se l’urbinate vesta i panni del portiere di notte del Rinascimento, oppure quello dell’usciere che spalanca le porte al nuovo giorno Barocco” (A. Emiliani, 1991); la sua opera non è ascrivibile a nessuna scuola; se da un lato il Barocci rielabora i dettami dei suoi predecessori manieristi, dall’altro anticipa e influenza la pittura seicentesca.
Federico Fiori detto Federico Barocci nacque ad Urbino nel 1535 da una famiglia di origini lombarde, nipote di uno scultore, crebbe in un ambiente estremamente vivace, i suoi fratelli erano costruttori di strumenti di precisione e molti avvezzi agli studi matematici. I primi anni della sua vita coincisero con l’inizio della decadenza del Montefeltro, nell’epoca in cui Francesco Maria della Rovere lasciò il ducato al figlio Guidobaldo II; quando già i fasti della movimentata attività culturale e politica della corte erano solo un ricordo.
Si trasferì ben presto a Roma dove ebbe modo di studiare Raffaello ed entrare in rapporto con Michelangelo e con i fratelli Taddeo e Federico Zuccari suoi conterranei.
Di notevoli capacità, tant’è che il Vasari nell’edizione del 1568 delle “Vite de più eccellenti pittori, scultori e architetti” lo ricorda come un pittore dalle grandi promesse, il giovane Barocci si cimentò da subito con una commissione di grande prestigio, venne chiamato ad affrescare il soffitto del Casino di Pio IV sito nei Giardini Vaticani.
Nel 1565 fuggì però da Roma, motivando questa repentina fuga con un presunto avvelenamento per gelosia; più facile pensare che la vera motivazione fosse la malattia, forse un’ulcera gastrica, che lo attanagliò per tutta la vita.
Tornò definitivamente nella sua città natale, Urbino, da dove, grazie ad una cospicua attività grafica che gli permise di far circolare la sua opera, ricevette importanti commissioni da varie città della penisola, da Milano a Roma, da Genova a Perugia, spingendosi fino alle corti spagnole e asburgiche all’epoca in rapporti stretti con il ducato di Francesco Maria della Rovere.
L’incarico della Confraternita della Croce arrivò al termine dell’esecuzione della Madonna del Popolo per Arezzo un’opera, assieme al Martirio di San Vitale per Ravenna, ancora con una costruzione interna prettamente manierista, dove il senso del movimento a vortice e la teatralità irreale delineano il grado massimo della pittura di quel periodo.
Nella Sepoltura, che nacque sulle ceneri delle due opere precedenti, si ritorna per alcuni versi ai dettami del Rinascimento, alla maniera di Raffaello; di cui ha sicuramente visto e amato la Deposizione di Cristo del 1507 per Atalanta Baglioni.
Il corpo del Cristo esangue diventa, in entrambe, perno centrale della composizione da cui si dipanano le linee di forza che stirano la scena trascinando verso l’esterno.
Il bilanciamento della composizione è garantito, nella Sepoltura, da Nicodemo che si incarica inoltre di convogliare lo sguardo dello spettatore verso la consueta raffigurazione del Palazzo Ducale.
di Elena Piaggesi