La Sacelit fu la fabbrica di Senigallia che realizzò manufatti in cemento amianto dove centinaia di persone vi lavorarono una vita, dal 1947 al 1983. Dal 1983 al 1994 la fabbrica si trasformò e cominciò a produrre additivi per il cemento. Così alcuni dipendenti andarono in mobilità e in cassa integrazione, altri vennero inseriti nella vicina Italcementi, altri ancora reintegrati nella nuova Sacelit.
Tutti i giorni, i santissimi giorni feriali, alla stessa ora il timbro del cartellino e l’entrata in quello stabilimento che sfamava intere famiglie. La maggior parte dei dipendenti Sacelit non c’è più. Quasi tutti sono morti, quasi tutta quella bella gente è venuta a mancare. Quelle vite erano faticose, ma erano anche cariche di voglia di ricostruzione dopo le perdite della guerra.
Allora – parliamo soprattutto del ventennio “rivoluzionario-industriale” dagli anni ’50 agli anni ’70 – la vita non era una summa di diritti, ma era vissuta soprattutto come un carico di responsabilità e di doveri. Si sudava per rispettare appieno i propri obblighi lavorativi (il lavoro era pur sempre un privilegio). Come il sudore delle 45 donne della Sacelit che si occupavano del manifatturiero più minuzioso, realizzavano a mano (alla stessa maniera in cui si fa la pasta) dei piccoli pezzi che dovevano poi far seccare in dei fornetti. Le temperature erano altissime.
Una di loro è venuta a mancare recentemente, Latini Giuseppina. Il referto medico ha dichiarato morte per asbestosi. Morte causata per esposizione prolungata ad asbesto (alias amianto). Dunque, l’asbestosi è una delle tristi eredità dell’amianto insieme al mesiotelioma pleurico. Il mesiotelioma è il tumore che si insidia sulla membrana che avvolge i polmoni ed ha un’onda lunga, cioè affiorano oggi i casi dei decessi delle persone esposte all’amianto 30 0 40 anni fa.
Ma reperire i dati sui decessi dei dipendenti Sacelit è impossibile proprio perché l’amianto, il fattore di rischio del mesiotelioma, in Italia è stato considerato cancerogeno molto tardi, più di 40 anni dopo l’inizio del suo utilizzo, solo nel 1993, dunque tutte le morti avvenute prima non hanno avuto giustizia, dato che non era ancora stata certificata la causa di molte, appunto l’amianto. Ma nel 1975 il materiale era già stato considerato cancerogeno dagli Stati Uniti eppure alla Sacelit non è mai stato espresso un giudizio medico di inidoneità all’esposizione di amianto e i dipendenti continuavano a lavorare esposti a gravissimi rischi per la loro salute.
Chi era stato più fortunato fra gli operai della Sacelit aveva la quinta elementare e non avevano capito che qualcuno se ne stava approfittando.
E proprio in quell’anno, nel 1975, guardacaso, avvennero i primi sopralluoghi da parte degli istituti medici. Nessuno dei dipendenti fu avvisato della pericolosità del rilascio delle fibre d’amianto, ma cominciarono i controlli sanitari al personale.
Non uscì mai fuori che respirare le fibre di amianto potesse provocare danni ingenti al sistema respiratorio.
Annualmente venivano effettuate le visite mediche a tutti i dipendenti e più frequentemente agli S.A. (Soggetti Amianto), battezzati proprio così coloro che lavoravano il pericoloso materiale. Che fine hanno fatto i documenti ufficiali in cui vengono attestate le condizioni in cui gli operai furono costretti per anni? Nel 1983, come detto, la Sacelit si trasformò in “Nuova Sacelit Italeux” e la lavorazione dell’amianto scomparve per far posto agli additivi per il cemento e tutto tacque.
Non uscì mai fuori che respirare le fibre di amianto potesse provocare danni ingenti al sistema respiratorio. Nel 1993 la fabbrica chiuse definitivamente. Nel 1994 esce un Decreto Ministeriale che indica i rischi del materiale e ne indica i criteri e le tecniche di bonifica. Nello stesso anno la struttura, secondo quanto è riportato in un certificato ufficiale dell’Asl, pare sia stata totalmente bonificata, ma recentemente sono venute alla luce delle inesattezze.
In seguito alla seconda bonifica (cominciata a Gennaio dello scorso anno) fatta effettuare dal’Edra Ambiente – oggi proprietaria dell’area – nelle “sale olandesi” (chiamate così fin da allora) sono stati trovati dei sacchi, grandi contenitori pieni di magnesio e di sale marino, materiali che servivano alla Nuova Sacelit Italeux per la produzione di addittivi per il cemento. Ma allora nel ’94 che bonifica fu fatta? Nessuna pulizia totale dell’area fu mai realizzata. Oggi le uniche disposizioni legislative in materia esistenti pare siano ancora quelle del 1994 che indicano che la totale responsabilità della bonifica è lasciata al proprietario dell’immobile (Edra) senza il diretto intermediare o il diffidato ingerire degli Organi competenti.
Che la memoria di quanto accaduto serva da monito per impedire che simili errori si ripetano. Oggi si conosce la pericolosità della polvere d’amianto, tutti sanno quali potrebbero essere le conseguenze di azioni sbagliate. Auspichiamo, e non come tredici anni fa, che al termine dei lavori di bonifica, la Asl, a spese di chi ha commissionato i lavori, cioè l’Edra, abbia valutato attentamente la restituibilità dell’area e non presenti più amianto libero nell’aria.
Scritto da Letizia Stortini (giugno 2006)