JACOMA E IL TEUTONICO
OVVERO L’AMORE E’ SEMPRE LO STESSO
L’uomo, i suoi sentimenti e l’espressione di questi non cambiano di molto nei secoli; è per tale motivo che ancor oggi partecipiamo con emozione alle pene d’amore di personaggi del passato: dall’ira furente di Didone che vede fuggire Enea, alla sanguinosa fine di Paolo e Francesca, all’amore tragico di Giulietta e Romeo e così via sino alle storie dei nostri giorni. Scocca la scintilla della passione e i cuori si infiammano; se si frappone qualche grave ostacolo, le conseguenze possono essere drammatiche o melodrammatiche. E’ questo il caso della storia che stiamo per raccontare. Di particolare essa ha che l’avvenimento risale a quasi cinquecento anni fa e che ci è stata tramandata in un freddo libro notarile, in mezzo a rogiti i cui argomenti con tutto hanno a che fare meno che con l’amore. L’epilogo ha qualcosa di proto-femminista, con un’esortazione libertaria che però non è isolata nel periodo rinascimentale. Nella trascrizione del racconto abbiamo utilizzato il linguaggio odierno, presentando in quello autentico difficoltà di comprensione.
“Correndo l’anno di Nostro Signore Gesù Cristo 1524 addì 18 di maggio, nel pontificato di Papa Clemente 7°, qui nella città di Senigallia viveva una fantesca di un cittadino di questo luogo, chiamato Gabriele dei Gabrielli. La ragazza, chiamata Jacoma, era assai bella persona e si era innamorata di un servitore di Sigismondo di Bernardino Quartari, un assai bello giovane di lingua teutonica, che era solito cantare canzoni d’amore. La giovane, innamorata di lui, domandò due volte al padrone e a sua moglie di farglielo sposare. Le fu risposto che non volevano darle uno spiantato perché sarebbero morti di fame e ciò sarebbe stata una vergogna. Lei per risposta disse: “Se non volete darmelo, mi ammazzerò da me stessa”. E così nel giorno suddetto, istigata dal diavolo e dall’amore acceccata, si gettò in un pozzo che era in casa del suo padrone, e che conteneva acqua per l’altezza di mezza lancia. Essendosi buttata, la disgrazia volle che il pozzo fosse stretto e attraversato da un travicello. La ragazza andò giù con i piedi in modo che colpì il travicello e finì di traverso con i piedi da una parte, le spalle dall’altra, nell’acqua. La padrona, sentendo il rumore, corse al pozzo e vide giù quella disgraziata che non voleva risponderle. Agli uomini discesi nel pozzo per tirarla fuori diceva: “Andate con Dio, perché voglio morire qui e non voglio che mi tiriate fuori.” Appena tirata fuori dal pozzo, di malanimo disse: “A questo punto, donne, non vogliate uccidervi voi stesse, ma piuttosto di notte aprite gli usci al vostro innamorato, e con lui smorzate l’empio foco amoroso”.
F.So.