UN FUTURO GIA’ PRESENTE
di Gianluca Goffi
Al momento dell’approdo a Singapore, anche i “marinai” più navigati si accorgono di aver raggiunto un luogo unico: l’impressione di un futuro diventato già presente, questo è quello che ha suscitato in me la prima vista di Singapore.
La sua carta d’identità sono i numerosi parchi, i giardini curati con attenzione quasi maniacale, un verde ostentato con fierezza, un lindore e una pulizia degne di una piccola Svizzera e che stride con il resto dell’Asia.
Questa è a tutti gli effetti un’Asia a parte, un modo diverso di concepire l’Oriente. Nel mio caso il contrasto è ancor più netto, se pensate che “la mia nave” salpò da una caotica, inquietissima e sporca Bangkok (seppur molto affascinante…).
Il fiume è il cuore pulsante di Singapore e il suo simbolo è il Merlion, un animale mitico, statua metà leone e metà pesce, che dà il benvenuto alle imbarcazioni che entrano nel porto. Qui troverete greggi di turisti belanti e intenti nella loro febbrile ars fotografica. E’ delizioso il distretto coloniale, che raduna la parte migliore delle costruzioni inglesi di quel periodo; qui è situato il centro amministrativo della città, proprio alla foce del fiume di Singapore. Molto gradevole la Central Fire Station con statue di pompieri al lavoro. Ricordo il Victoria Theater, il Memorial Hall e i vari hotel situati in Orchard Road, fra cui il Raffles, da non perdere anche Chinatown e Little India.
Per godersi appieno Singapore by night consiglio una cena sofisticata a lume di candela nella veranda di un localizzo che dà sul lungofiume, per continuare con una passeggiata e una visita al City Hall, il Municipio, e al Palazzo del Parlamento, entrambi egregiamente illuminati. Qui il gioco di luci nelle facciate dei palazzi si fonde con l’incantevole cielo stellato come un Dom Pèrignon Blan 1999 si sposa con del caviale di Astrakan: il risultato è un’atmosfera da sogno.
Singapore è anche la città delle multe e dei divieti e l’intransigenza qui è la regola numero uno. Il prezzo standard per una multa è di un milione del vecchio conio, sia che non si rispetti il divieto di fumare, sia che si gettino via cicche di sigarette o cartacce. Per i chewing-gum il problema del gettare a terra non si pone affatto essendo vietato non solo masticare, ma persino possedere un chewing-gum: le nostre abitudini vanno lasciate a casa, paese che vai cultura che trovi.
Per i drogati dell’elettronica questo è un paradiso tutto da esplorare: qui si trovano tutti i nuovissimi materiali elettronici a prezzi molto convenienti; Singapore è anche uno dei centri orientali per il commercio di pietre preziose, perle e gioielli.
A Singapore convivono oltre tre milioni di abitanti di etnie diverse, “molte razze, un unico popolo”, questo è lo slogan della città, uno dei rari esempi al mondo di coesistenza interfonica senza conflitti.
Questa città-stato è stata la protagonista di uno dei più prodigiosi boom economici del dopoguerra. Questo conduce inevitabilmente a riflessioni ancor più accurate, se si pensa che questa sorta di miracolo asiatico è stato ottenuto in una minuscola isola equatoriale. Ricordo il mio professore di Economia Internazionale ripeterci sempre a lezione: “il destino delle nazioni lo fa chi le governa e non le ricchezze naturali”; pensando a Singapore e al resto dell’Asia mi viene da pensare che queste parole non siano proprio del tutto azzardate…
Singapore è l’esperimento riuscito di coniugare il progresso tecnico e industriale con uno sviluppo urbanistico esemplare, le spinte consumistiche del mondo occidentale con le tradizioni orientali più varie. David Dale ha scritto di Singapore: “una città la cui unica funzione, per quanto ci oensi, è lo shopping”. A lui replicherei con le parole di Bill Bryson: “c’è forse qualcosa di meglio che trovarsi libero in una città straniera in una bella sera di primavera, a oziare lungo strade sconosciute, nelle lunghe ombre di un tramonto pigro, fermandosi a guardare le vetrine o una chiesa, o un piazza graziosa o un tratto tranquillo lungo la banchina…”.