Nonostante tutto
le opere dei fratelli Crivelli ancora intatte
Straordinariamente le Marche sono ricche di opere ben conservate, e in alcuni casi giunte integre, dei fratelli Crivelli.
Straordinariamente perché durante l’Ottocento si è assistito alla razzia napoleonica che ci ha privato di moltissimi capolavori. Non fu solamente questa la causa; la perdita di importanza e il cambiamento del gusto, hanno portato un disinteresse verso quella pittura a fondo oro, di cui i Crivelli erano sublimi interpreti. Aneddotico il racconto che circola su un grande storico dell’arte, Bernard Berenson, venuto in Italia per studio verso la fine dell’Ottocento, approfittando del momentaneo disinteresse per tali opere, le acquistò a bassissimo prezzo, rivendendole poi nel mercato anglosassone a cifre nettamente superiori.
Nei paesi anglosassoni, difatti, dagli anni cinquanta del XIX secolo, si era sviluppato un certo gusto per la raffigurazione gotica e tardo gotica che prese il nome di preraffaelismo; a sottolineare appunto l’apprezzamento per raffigurazioni che ancora non avevano subito la grazia estetizzante di Raffaello e, aggiunto a questo, un totale interesse per l’artigianalità dell’opera, per il fare artistico.
Le spoliazioni subite nel corso dei secoli hanno però salvaguardato alcune opere tra le più belle dei maestri veneti; come quelle conservate ancora a Monte San Martino, un paese che non era certo sulle maggiori vie di comunicazione, ma pur arrampicato su tra le colline del maceratese, grazie ad illuminati mecenati, si è arricchito di tali capolavori.
Un paese che lascia ancora intravedere i fasti del passato e che racchiude in una piccola ma suggestiva chiesetta un polittico realizzato probabilmente a quattro mani da Carlo e Vittore Crivelli, due polittici di Vittore e un ultimo di Girolamo di Giovanni, autore camerinense meno conosciuto ma di notevole talento.
Tra i fratelli Crivelli il più noto, per le qualità pittoriche, è Carlo; veneziani di nascita si trasferirono entrambi nelle Marche dopo un lungo soggiorno a Zara. Carlo, il più anziano tra i due, vi giunse per primo quando ricevette una commissione per realizzare nel 1468 un polittico a Massa Fermana.
La sua fama crebbe nella regione e per un ventennio la sua bottega risultò una delle più floride del territorio.
Di estremo interesse è questo connubio unico con il fratello, ammirabile nella chiesa di San Martino.
Un connubio non ancora chiarito, tant’è che alcuni studiosi non sono del tutto convinti della presenza di Carlo nell’esecuzione; quel che è certo è la notevole differenza stilistica tra le parti dell’opera.
Il polittico si sviluppa su due livelli e la sottostante predella, il tutto armonicamente assemblato all’interno di una sontuosa cornice realizzata dall’intagliatore Giovanni di Stefano da Montelparo. La divisione, sottolineata anche dalla cornice che ricorda la struttura di una cattedrale gotica, segue un impianto comune alle opere coeve. Al centro in basso la Madonna con il Bambino sovrastata dalla Pietà. Si dispiegano nelle tavole laterali otto figure di santi, sotto una predella sporgente utilizzata anche come appoggio, in quanto originariamente il polittico era sito dietro un altare, raffigurante Cristo Risorto tra gli apostoli.
Ad uno sguardo attento è facilmente percepibile una netta differenza tra le due mani: le parti centrali Madonna in Trono e Pietà, il San Giovanni Battista e San Biagio alla sinistra della Madonna sono certamente opera di Vittore, per il segno meno definito, per le raffigurazioni statiche e per l’assenza di tensione interna.
Al contrario il resto delle raffigurazioni di santi sono attribuibili a Carlo; la predella invece si presume che sia stata progettata da Carlo ma realizzata da un’altra mano.
La finezza espressiva dello stile di Carlo rende in modo minuzioso, quasi da fiammingo, ogni minimo particolare; nulla è lasciato in sospeso, dai riccioli intrecciati di perle della Santa Caterina, ai movimenti delle pieghe del gonnello del San Michele Arcangelo, fino alla decorazione puntigliosa dell’abito talare di San Nicola da Bari. Allo stesso modo il piglio dinamico delle figure di Carlo lo distaccano nettamente da quelle del fratello minore che, nel confronto, non riesce a donare una paragonabile argomentazione plastica. Le figure di Carlo si muovono all’interno del loro costretto spazio; un calzante esempio è San Martino in alto alla destra del Cristo, che da sopra il cavallo si torce per donare parte del suo mantello al povero, di cui solo il viso si riesce a scorgere. E quando la prestanza volumetrica non entra in gioco, Carlo esibisce le sue doti nella caratterizzazione espressiva dei volti, una tensione emotiva che riporta l’attenzione all’interno della sacralità rappresentata.
Un’opera che assieme agli altri tre straordinari capolavori raccolti nella medesima chiesa, già di per sé di notevole interesse, rende questo luogo unico e di estremo fascino.
Elena Piaggesi