Daje Tulindì

Tolentino è una delle città marchigiane colpite, prima dal sisma del 24 agosto  e poi da quello del 26 e del 30 ottobre. La stampa ufficiale, occupandosi quasi totalmente di quelle località più duramente ferite, ha tralasciato di documentare molti luoghi della nostra regione che, dal terremoto, ne sono usciti con le “ossa rotte”. Tolentino, in provincia di Macerata, è uno di questi. Ottomila gli sfollati. Palazzi, edifici, chiese, inagibili. Il 40% delle abitazioni fuori uso. Siamo andati sul luogo.

 

 

di Catia Fronzi

Arrivando sembra tutto normale, le automobili circolano, l’ospedale è attivo. Non è Beyrut, insomma. Se nessuno ti dice niente lì per lì non ti accorgi di niente. Ma subito Claudia, la persona che ci accoglie, parecchio smagrita da come la conoscevamo, ci guida verso il primo palazzo che abbiamo di fronte: «Vedi questo? Ci abitavano trenta famiglie». Metti a fuoco e ti accorgi che è tutto crepato. I grandi condomini lungo il Viale della Repubblica sono puntellati; si tratta di valutazioni in divenire, perché quando nel pomeriggio torniamo sul posto troviamo che li hanno transennati, le porte sbarrate con due assi in croce, il che vuol dire che saranno abbattuti.

 

daje tulindì

Adesso lo sfascio è più vistoso. Oltre la ferrovia, Viale Vittorio Veneto ha avuto l’oltraggio maggiore e sembra tutto da buttare. I quartieri residenziali, quelli più popolosi, non mostrano crolli ma i palazzi sono tutti lesionati in modo probabilmente irreparabile. Condomini costruiti intorno agli anni novanta con crepe che attraversano orizzontalmente tutti i pilastri esterni, perché quelli si vedono. Più oltre le casi popolari costruite al tempo del Fascio e quelle in cooperativa invece non hanno subito gli stessi danni. Diversa risposta del terreno o diversa qualità costruttiva, o concorrenza di entrambi i fattori, e in che misura, è difficile dire.

Poi Claudia ci porta a vedere la campagna e i paesi vicini. Belforte, che pure è più vicino all’epicentro, è intatto e la vita continua regolarmente; più avanti Calderola è zona rossa quasi per intero, non si può entrare nemmeno a piedi. Praticamente distrutta. Lo stesso castello dei Pallotta ha ricevuto danni. Le case di campagna tanto e quanto. Per fortuna non ci sono stati morti: una prima scossa aveva fatto rovesciare gli abitanti tutti fuori casa. Ma il disastro è veramente grande.

Tornando a Tolentino, costeggiamo le mura per un lungo tratto; la scarpa che le sorregge è consistente, ma le porte, alcune di esse, sono tamponate a sostegno degli archi; le torri cimate e i merli tirati giù sono poggiati a terra.

Più ci accostiamo al centro e più incontriamo transenne e cordoni che circondano gran parte dei palazzi. Chilometri di strisce bianche e rosse che fasciano parti di città. In centro, le case in muratura spanciano in fuori, pericolanti e pericolose. In Piazza della Libertà la torre con gli orologi  ha resistito al sisma, ma il palazzo comunale non è più agibile e gli uffici sono stati alloggiati nell’edificio di fronte, rimasto integro. Dalle finestre di uno dei palazzi più ornati scende uno striscione con la scritta “Daje Tulindì”.

 

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E la città ha davvero bisogno di farsi coraggio, perché – informa Claudia – ottomila persone sono senza tetto su ventunmila residenti, il che significa che un 40% delle abitazioni sono fuori uso.  La maggior parte degli sfollati si è ristretta nella parte superstite della città; chi aveva la possibilità si è trasferito al mare; tutto attorno, nelle aree di sosta e anche sulle colline, sono camper e roulotte; e lì hanno stufette perché la protezione civile ha montato i generatori, ma per lavarsi è davvero un problema. Ottocento persone sono raccolte dentro il Palazzo dello Sport e dormono in branda. Sono sette i punti di raccolta nelle palestre delle scuole, che sono tutte chiuse e molte lesionate. Così pure le chiese, in attesa che si valuti un danno che comunque appare in molti casi grave per i crolli interni. Anche la Basilica di San Nicola ha ricevuto danni, e il Cappellone celebre come opera d’arte e per le opere d’arte che accoglie.

«A chi chiede di cosa abbiamo bisogno non sappiamo rispondere» aggiunge Veronica, che ha dato il cambio a Claudia come guida al disastro; «perché al di là dei soccorsi immediati – la Protezione Civile e i volontari qui si fanno apprezzare – è l’inverno che mette paura. Tolentino si trova a venti chilometri dalla stazione sciisitca di Sarnano e già ieri mattina i Sibillini erano tutti innevati.

daje tulindì

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«La cosa di cui veramente abbiamo bisogno è che il terremoto finisca; mentre qui non passa giorno che non ci siano scosse; e allora nemmeno le migliori ricognizioni sul danno subìto sono definitive, e non c’è modo di pensare fin d’ora alla ricostruzione». Ragionando su quello che potrà venire, soprattutto sono preziosi i tecnici che si sono prestati, e ce ne vorrebbero altri anche da altre parti, in modo che forniscano responsi obiettivi, per una ricostruzione che sia esente dal costume degli scarsi controlli in corso d’opera.

 

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Ci ritroviamo infine a discutere su quanto sia paradossale un sistema abitativo non fondato primariamente sulla convivenza con i terremoti, dal momento che una prima mappatura storica del rischio sismico è data dalla diffusione del culto di Sant’Emidio.  E su quanto sia lontana la percezione del reale se non si prende contatto di persona con lo stato delle cose. La speranza c’è, ma ha bisogno sempre più di essere guidata da molti ragionati cambiamenti sui metodi del costruire e dell’abitare.

Tornata, sono qui a ordinare gli appunti che ho raccolto e intanto vedo su fb che la pagina di “Sei di Tolentino se…” porta la foto di un gruppo di ragazzi, civili e Protezione, che armeggiano per preparare “la grigliata di stasera” presso il  centro di accoglienza. Poco sopra Veronica aveva postato un’immagine della sua famiglia stra-allargata e stra-stretta dentro la roulotte  tutti lì che giocavano a carte, e la nonna che la voleva vinta a tutti i costi.

 

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