La città come modella
di Leonardo Badioli
Frequentando – non tanto quanto vorrei – le carte della Biblioteca Antonelliana, mi sono imbattuto in un foglietto pieghevole che annunciava una mostra di pittura: “Sabato 21 agosto 1949, ore 19, al numero 23 dei Portici Ercolani, Mostra del pittore Sante Monachesi”. Foglietto non troppo rilevante se non fossero passati quasi settant’anni a rendere curiosa la rivisitazione. La mostra si teneva in quella stanzetta che era e restò per molti anni la sede dell’Azienda di Soggiorno; e quella sera lo scrittore senigalliese primo per eccellenza, Mario Puccini, si trovava lì per presentarla. Il clima nel quale si teneva la manifestazione, pur raccolta e preziosa, era quello del secondo dopoguerra: anni fervidi e duri, ma pieni di vitalità e di speranza; il conflitto mondiale terminato da soli quattro anni, la Repubblica nata da tre, la Costituzione entrata in vigore soltanto da uno; e questa probabilmente la prima rassegna di pittura che si teneva a Senigallia, come a segnalare la volontà della città di partecipare anche con le arti al corso della ricostruzione. Autorizza a pensarlo il pieghevole là dove è scritto che si tratta della “Prima Manifestazione d’Arte”, non solo per l’intenzione di andare avanti anno dopo anno, ma anche per segnalare che nessun’altra mostra si era tenuta dopo la fine della guerra.
Estratti del discorso che Mario Puccini terrà al vernissage vi sono anticipati sotto il titolo “Il pittore Monachesi a Senigallia”; e anche qui, come spesso gli accade per non dissimulata passione, lo scrittore torna a innalzare Senigallia al ruolo di ispiratrice di immagini e parole. Dei venti dipinti presenti nel catalogo, infatti, quasi la metà si ispira ai nostri paesaggi urbani, frutto evidente di un soggiorno del già molto apprezzato pittore maceratese.
La città come modella: ecco il motivo centrale che muove la curiosità e che collega una curiosa trouvaille alle cose del presente. Ho pensato a un certo punto che qualcuna delle opere esposte potesse ancora trovarsi in qualche ufficio come lascito che s’usa da parte dell’espositore, e non ho girato invano: ho il ricordo vivo, e successiva conferma, che alcune tele del pittore maceratese si trovavano ancora nel Palazzetto del Turismo, ora fatiscente, presso i Giardini Morandi. Sarebbe desiderabile ora che la Provincia, la Regione, il Museo d’arte Moderna, dell’Informazione e della fotografia o eventuali privati che ne fossero in possesso ne segnalassero la presenza e contribuissero almeno a rendere questa cornice meno vuota.
IL PITTORE MONACHESI A SENIGALLIA
Un artista che non ha mai sofferto neppure uno iato di banalità e di faciloneria
di Mario Puccini
Non saprei cominciare un discorso, sia pur breve, su Monachesi se, prima, non mi rallegrassi con la mia città che, unica, credo, tra le città minori, (per intenderci, tra le città che non sono delle metropoli) ha avuto la fortuna di essere sentita come soggetto da un pittore che ormai tutto il mondo, non solo l’Italia, riconosce tra i migliori di questa epoca. E’ un fatto importante: ed io, senigalliese, non posso non sottolinearlo; e con pieno, caldo orgoglio. Né si tratta di volontà; Monachesi è talmente estroso, e, diciamolo pure, scontroso, che non avrebbe mai e poi mai saputo obbligarsi ad un compito preconcetto, se la sua sensibilità non fosse stata vinta da un fascino autentico, non assolutamente sfuggibile. Non si scherza, d’altra parte, con l’ispirazione, quando si è artisti veri; oh, non si creda che un artista vero sia capace, così, quando gli piace e voglia, di ricorrere al mestiere; se questo avvenisse, tre quarti della pittura buona, della pittura che oggi conta, si dovrebbero considerare come perduti. E Monachesi è uno di quei pittori che il mestiere, la bravura, da un pezzo li hanno messi da parte; uno di quei pittori che, per arrivare all’arte, all’arte con l’A maiuscola, si sono giuocati quello che si chiama il successo fin dal primo giorno. Ovvio: chi dispone, come è il suo caso, di tanta potenza cromatica, di una così profonda capacità di rilievo, di una facoltà di sintesi così sicura non potrebbe e non saprebbe dunque accarezzare il gusto dei più, se lo volesse? È perfino ridicolo domandarselo. E invece Monachesi, fin dal giorno in cui parte alla conquista del proprio mondo, non comincia da dove gli sarebbe stato assai facile cominciare; egli che aveva tutte le atouts per vincere subito e bene, comincia invece dall’abbicì; sottomettendosi, umile e prono, ad una ricerca e ad una disciplina strette, rigorose, anche feroci; le quali non verso la libertà sa che lo guideranno, ma verso il cilicio, non verso atmosfere agevoli e scoperte, ma verso una dura, verso una rigida trappa. E’ la sua fortuna e la sua gloria; chi non ha fatto questa esperienza, gli artisti che baldanzosamente hanno imboccato la prima strada che hanno trovato aperta, sono stati tutti o quasi tutti a un certo momento fermati dall’ostacolo più terribile che un artista può incontrare: la maniera. E, in arte, la maniera vuol dire morte, o, quanto meno, letargo. Ma Monachesi ha sempre avuto paura delle posizioni ferme, statiche; tutta la sua storia d’artista è movimento, o, se volete, inquietudine: e chi non sa che l’inquietudine è il lievito che dà fiato e forza alle crisi salutari, cioè purificatrici? Ed ecco infatti un pittore che, a meno di quarant’anni, in grazia di un processo che ha avuto i suoi alti e bassi, ma che non ha sofferto neppure uno iato di banalità e di faciloneria, è giunto ad una potenza rappresentativa tra le più icastiche e verticali della moderna pittura. Inutile ora ricordare i vari climi attraverso i quali l’arte di Monachesi ha transitato; inutile ricordare certe sue esperienze che oggi forse egli stesso non ricorda; inutile fissare lo sguardo cronisticamente sulle sue ribellioni o anche soltanto su certe sue brusche svoltate. Quello che conta, e, a mio parere, indiscutibilmente, è che il punto d’arrivo sia quello che è: cospicuo, non solo, ma imperiosamente affermativo: Sante Monachesi è oggi, tra i nostri pittori giovani, uno dei più originali, e, forse, l’unico che è riuscito a trovare il contrappunto più adatto per trasferire in una forma nuova e con una tavolozza nuova, le ansie e gli aneliti che traboccano dall’anima moderna.