IL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO DI SENIGALLIA
di Virginio Villani
Il ritrovamento di importanti testimonianze archeologiche sotto il teatro “La Fenice”, oltre a far rivivere attraverso la sua musealizzazione uno scorcio della Senigallia antica, ha avuto il merito di riproporre all’attenzione dell’opinione pubblica immagini e suggestioni di un passato troppo spesso ignorato per colpevole indifferenza. I ritrovamenti, per quanto limitati ad una area ristretta, hanno permesso fra l’altro di risolvere definitivamente il problema dell’impianto urbano, cioè dell’orientamento del reticolo geometrico e ortogonale di cardi e decumani su cui era impostata la città romana.
Già nel 1950 gli studiosi di topografia antica Ortolani e Alfieri avevano ipotizzato che i cardi e i decumani fossero allineati alle odierne vie Arsilli e Mastai; l’ipotesi, accettata allora con riserva, è stata confermata e avvalorata proprio dall’orientamento del basolato stradale scoperto sotto il teatro. Del resto era immaginabile che l’asse principale della città fosse allineato alla costa. Questa scoperta consente anche di constatare come molti edifici e isolati del centro storico restino tuttora impostati sulle fondamenta di quelli romani, soprattutto in quei settori che meno sono stati interessati dalle trasformazioni avvenute dal ‘500 in poi, soprattutto il settore orientale fra via Mastai e la Rocca, sopravvissuto alla decadenza e all’abbandono che ha interessato Senigallia dalla fine del ‘200 alla metà del ‘400 e parzialmente inglobato nella ricostruzione di Sigismondo Malatesti dopo il 1450.
Così oggi all’interno della città murata è possibile leggere le tracce di due distinti impianti urbani a testimonianza delle due principali fasi urbanistiche: il primo centrale, di cui si è detto, incardinato su via Mastai e via Arsilli, parallelo all’incrocio stradale rinvenuto sotto il teatro e corrispondente all’orientamento della città romana e di quella medievale; il secondo più periferico, incardinato su via F.lli Bandiera e quindi ruotato ad est rispetto al primo, corrispondente all’ampliamento settecentesco. Ma anche all’interno pentagono roveresco sono evidenti tracce delle ricostruzione cinque- seicentesche, a partire dal taglio del Corso operato fra ‘400 e ‘500, su cui sono allineati il palazzo comunale, molte delle residenze private che vi si affacciano e il quartiere attorno le scuole Pascoli ricostruito dopo la demolizione dell’antico vescovato.
L’orientamento dell’impianto romano e medievale, oltre che negli isolati e nelle strade allineate su via Mastai e via Arsilli, è evidente anche in alcuni importanti edifici ricostruiti sulle fondamenta di quelli antichi, quali la rocca, il palazzo del Duca, la chiesa del Carmine e quella di S. Martino e a suo tempo anche quella distrutta di S. Pietro in piazza Doria; Il Palazzo Comunale invece e il quartiere delle scuole Pascoli, dove era già l’episcopato distrutto da Sigismondo Malatesta e dove nella seconda metà del ‘500 venne costruito il monastero di S. Cristina, sono allineati al taglio del Corso e al più tardo ampliamento settecentesco.
Tutto questo testimonia la complessità della storia urbanistica della città, esaltata e magnificata da sempre come modello di progettazione rinascimentale e settecentesca, ma ignorata nella fase romana e nelle tre fasi medievali, quella comunale (sec. XI-XIII), quella della decadenza (1280 – 1350 circa) e quella malatestiana e post malatestiana dopo il 1450.
Della prima fase resta sostanzialmente solo lo scavo archeologico sotto il teatro e poco altro, perché è mancata a Senigallia in passato una sufficiente attenzione per la storia archeologica. Delle altre tre non restano invece testimonianze visibili, perché tutto è andato distrutto nel corso delle varie ricostruzioni. Disponiamo però di un’ampia documentazione scritta di fonte ecclesiastica e di alcune cronache relative alla ricostruzione malatestiana e roveresca. Queste fonti ci informano sull’articolazione della città in quartieri nelle varie fasi della sua evoluzione, sulla dislocazione degli edifici più importanti, delle fortificazioni e delle piazze, sulla sua nuova configurazione in seguito alla contrazione trecentesca e sulla ricostruzione malatestiana e roveresca.
Ciò non basta tuttavia a restituirci un’immagine organica e pienamente attendibile, anche se sommaria, della configurazione della città. Molti i vuoti e i margini di incertezza, per colmare i quali può essere d’aiuto solo lo scavo archeologico. Purtroppo dei tanti sporadici ritrovamenti, di cui si ha notizia a partire dagli inizi del ‘700, non resta quasi niente, per scarsa attenzione (e questo fino agli anni ’60 e oltre), ma anche per l’ideologia dominante fino al Novecento che concentrava l’interesse solo sul singolo manufatto come manufatto d’arte e non al contesto e alla stratigrafia. Del resto l’interesse per l’archeologia urbana è relativamente recente. A Senigallia tuttavia questo settore di ricerca può rivelarsi molto interessante dal punto di vista scientifico per la molteplice stratificazione delle fasi urbanistiche e può essere in grado di dare una risposta ai tanti interrogativi aperti dalle fonti scritte, come ad esempio: fin dove si estendeva la città romana ? Che cosa nasconde l’area della Maddalena e di piazza Garibaldi dove sono stati rinvenuti elementi architettonici attribuibili ad importanti edifici pubblici? Quale l’ubicazione delle tante chiese medievali ? Quale l’estensione della cittadella trecentesca ? Cosa resta del complesso fortificato dell’episcopato e della cattedrale duecentesca di S. Paolino ? Sono solo alcuni dei tanti nodi irrisolti.
E’ necessario perciò che le potenzialità archeologiche della città non vadano compromesse e che a questo fine l’amministrazione comunale dichiari innanzitutto di primario interesse archeologico tutta l’area della città storica e si doti di strumenti normativi in grado di garantirne la tutela attraverso la sorveglianza delle opere di scavo, pubbliche e soprattutto private. In secondo luogo dovranno essere previsti sondaggi e saggi di scavo preventivi in tutte le aree pubbliche, strade e piazze, che nei prossimi anni saranno interessate da progetti di pavimentazione o dalla realizzazione di sottoservizi, fognature e quant’altro. Non è infine nemmeno utopistico pensare alla possibilità di pianificare saggi di scavo in alcune aree di particolare valore, come piazza Simoncelli, dove la presenza insediativa è stata continua fino al ‘900, o come piazza Garibaldi, dove potrebbe nascondersi la presenza di importanti edifici pubblici di età romana e dove più evidenti potrebbero rivelarsi i segni della decadenza medievale. L’impegno di un’amministrazione convinta dell’importanza di una tale operazione potrebbe trovare le giuste sinergie con altri enti pubblici e reperire anche finanziamenti adeguati. Si tratterebbe di un’operazione in grado anche di risvegliare l’interesse della città nei confronti della sua storia e dei suoi beni culturali.
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