Da Uliassi
Il vero lusso è la meraviglia
E’ il 27 maggio di 26 anni fa quando apre il locale: Mauro Uliassi è in cucina con la sorella Catia in sala
“Il vero lusso è la meraviglia, capacità di stupirsi dell’inatteso”, ricorda il premio Nobel Dario Fo a chi pensa che sia sinonimo di omologazione, di sfoggio dei medesimi oggetti, dei medesimi riti e dei medesimi cibi. Gli stabilimenti balneari di lusso, frequentati dai magnati russi, sono tutti identici: lettini con vele bianche, asciugamani di spugna, piscine a bordo mare, champagne sempre in ghiaccio, centrifugati alla moda e spaghetti con chili di aragoste.
L’ambiente
Quando penso ad un bagno di classe, invece, penso a Uliassi, a Senigallia: un reticolo di spigoli di legno bianco che sorregge una veranda discreta, un plateatico con tavolini immacolati, e una lunga spiaggia, libera dagli ombrelloni, che accompagna lo sguardo fino al bagnasciuga. Il ristorante, all’interno, stupisce per il candore; arredato con eleganza sobria, incanta anche nella raffinatezza del pavimento di graniglia e per la sensibilità delle opere d’arte che decorano i menu e i tavoli. I coprimacchia, da evitarsi a questo livello di ristorazione, come la mancanza dei piattini sottobottiglia, sono dettagli veniali.
Il servizio
Con un bicchiere d’acqua e l’offerta di due grissini, la sequenza delle portate si apre nell’unica maniera davvero corretta. Poi, una sorpresa: nessuno si informa sulle preferenze alimentari, ma viene servito come aperitivo un bicchierino di Kyr, accompagnato da un wafer di fegato grasso e nocciole – un inizio ostico per chi, per scelta, non gradisce la carne -, un’oliva ascolana cruda con osso di mandorla, un crostino di pane con alici e tartufo nero – che rimanda a profumi molto di terra in un menu che sottotitola “cucina di mare” – e delle impeccabili cialde di alghe fritte. Posticipare il momento dell’ordine potrebbe anche essere originale, ma molti clienti non gradiscono bere un calice di vino o gustare il primo dei piatti da loro scelti solo mezz’ora dopo l’arrivo. Purtroppo, con i menu al tavolo, la maitre fa fatica a suggerire un percorso coerente con alcune semplici richieste e chiede se desidero più tempo per leggere la carta, in cui compaiono, senza ulteriore spiegazione, piatti come “il Rimini Fest” o “Il Fosso”. Il suo aiuto è quindi indispensabile. Come verdura locale mi indica solamente un’insalata di germogli e piante aromatiche, tra cui il “red chard”, che non mi pare proprio di aver intravisto al mattino al mercato tra le specialità dei contadini. Il sommelier invece, gentilissimo, si offre immediatamente di sostituire una bottiglia che, a mio avviso, non incarna fino il fondo lo stile di vinificazione che abbiamo concordato e, seppur mi porti a 4 gradi un’etichetta che recita in bella vista “temperatura di servizio 15 gradi”, fa dimenticare la scortesia della padrona di casa, che sbatte la lista dei vini sul tavolo redarguendomi: “scelga da qui il vino che vuole”. Una serata di nervosismo può succedere. Certo, a queste cifre, è difficile accettarlo, ma ci pensano i ragazzi della sala, sorridenti professionisti, tra i migliori che abbia incontrato, a risollevare il servizio.
Il cibo
Il cestino dei pani aromatizzati – che interferisce eccessivamente con i sapori del cibo e che andrebbe eliminato da qualsiasi ristorante – brilla però per cotture e lievitazioni esemplari. Il burro alle ostriche, vero incipit marino della cena, diventa meraviglioso a metà serata, ma quando viene servito, algido, è un piatto inscalfibile. Poi arriva un piatto a mano libera richiesto direttamente allo chef: la ricciola alla puttanesca, pesce e scampo crudi, colatura d’alici, alice, capperi, sugo di pomodoro, e origano in abbondanza. Forse evoca maggiormente una pizzaiola, ma è stupefacente al palato. Le seppie giovani arrostite sporche e granita di ricci di mare, in carta da diversi anni, sono un’invenzione straordinaria per sapore, consistenza e piacevolezza e delicatezza. La misticanza che le accompagna, invece, distrae dal sapore, con un susseguirsi di troppi riferimenti aromatici intensi. Il Rombo alla brace, purea di agretti, salsa “bruciata” e calamaretti, paga pegno alla clientela insofferente, che non accetta che il mare, a volte, possa non concedere i propri frutti. E l’abbattimento o la conservazione sottovuoto, pur di materia prima freschissima, derubano il pesce di ogni emozione. Il parallelepipedo di branzino, inoltre, forse stasera il termostato del frigo ha un problema, ha il cuore crudo e freddo, al limite del ghiacciato. Non mi arrendo e richiedo altri due assaggi. Il Pancotto al latte di mandorla e granita di ricci di mare è sublime, soave, sapido. Iniziare il pranzo da qui sarebbe proiettarsi nell’empireo della cucina italiana che guarda al futuro senza paura di attingere al passato. La Sogliola alla maitre d’hotel, avvolta da un’impanatura croccante e dorata, è dolce e avvolgente, in dialogo goloso con il burro aromatizzato, montato in una spuma soffice. Una piacevole acidità sgrassa ulteriormente il piatto, ma l’aglio è protagonista invadente, in dose letale per qualsiasi vampiro. Il caffè arriva dopo 25 minuti dalla richiesta, ma la piccola pasticceria, che inventa sapori tra il dolce e il salato, attingendo al tartufo, al cappero e al pepe rosa, è di un’eleganza e una leggerezza rare. Ma tutta la cucina dello chef Mauro Uliassi è straordinariamente leggera, misurata nelle cotture e nell’uso di grassi inutili. Con qualche vegetale nei piatti diventerebbe eterea. Se solo queste ricette abbandonassero qualche ostinato compiacimento nell’utilizzo di ingredienti quali il riccio di mare, lo scampo e il nero di seppia, e attingessero invece al pesce del giorno, anche quello povero, col rischio di dover sostituire la carta con un menu fisso quotidiano, saremmo ai vertici assoluti della cucina di mare nazionale.
Federico Francesco Ferrero, lastampa.it