Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale
“Se il mio paese da solo rifiuta di pagare il debito, io non sarò qui alla prossima conferenza”.
Questo disse Thomas Sankara, giovane presidente del Burkina Faso, trent’anni fa, all’annuale Conferenza dell’Organizzazione dell’Unità Africana tenutasi ad Addis Abeba il 29 settembre 1987.
Sankara fu ucciso il 15 ottobre, sedici giorni dopo che ebbe pronunciato il suo discorso, che qui riproponiamo in traduzione italiana.
Nel 30° Anniversario dalla sua uccisione vogliamo ricordarlo. Non molti ne conoscono l’esistenza eppure nessun altro leader africano ha incarnato, come lui, il sogno di un vero riscatto civile del Continente.
“Noi pensiamo che il debito debba essere considerato dalla sua origine.
Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo.
Quelli che ci hanno prestato denaro sono gli stessi che ci avevano colonizzato, sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie, sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali, che erano i loro fratelli e cugini.
Noi non c’entravamo niente con questo debito.
Quindi non possiamo pagarlo.
Il debito è ancora il neocolonialismo con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici, ma dovremmo dire piuttosto “assassini” tecnici. Sono loro che ci hanno proposto canali di finanziamento e finanziatori, un termine che si usa ogni giorno come se ci fossero uomini che solo “sbadigliando” possono creare lo sviluppo degli altri [gioco di parole in francese: sbadigliatore / finanziatore].
Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati, ci hanno presentato dossier e movimenti finanziari allettanti e noi ci siamo indebitati per 50, 60 anni e più; siamo stati indotti a compromettere i nostri popoli per 50 anni e più.
Il debito nella sua forma attuale controllata e dominata dall’imperialismo è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a norme che a noi sono completamente estranee, in modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout-court di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia di investire da noi con l’obbligo del rimborso.
Ci chiedono di rimborsare il debito. Non è un problema morale.
Rimborsare o non rimborsare non è un problema d’onore.
Signor Presidente, abbiamo prima ascoltato e applaudito la signora primo ministro norvegese intervenuta qui: ha detto, lei che è europea, che il debito non può essere rimborsato per intero. Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo i nostri finanziatori non moriranno, di questo state pure certi; ma se noi paghiamo, noi moriremo, e anche di questo state certi. Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò: finché guadagnavano non c’era nessun problema; ora che perdono al gioco esigono il rimborso. E parlano di crisi. No, signor Presidente: hanno giocato, hanno perso, è la regola del gioco.
E la vita continua.
Noi non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare; non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito; non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare: il debito del sangue. E’ il nostro sangue che è stato versato.
Si parla del Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica ma non si parla mai del piano africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate.
Chi ha salvato l’Europa? E’ stata l’Africa. Se ne parla troppo poco. Così poco che noi non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato.
Se gli altri non possono cantare le nostre lodi, abbiamo noi il dovere di dire almeno che i nostri padri furono coraggiosi e che i nostri combattenti hanno salvato l’Europa e alla fine hanno permesso al mondo di sbarazzarsi del nazismo.
Il debito è anche conseguenza di contrasti.
Quando ci parlano di crisi economica dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso. La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che i popoli diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore. Oggi c’è crisi perché i popoli rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di pochi individui. C’è crisi perché qualche individuo deposita nelle banche estere somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa. C’è la crisi perché di fronte a queste ricchezze che sono nelle mani di individui di cui si possono conoscere i nomi, i popoli si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassifondi. C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro Soweto di fronte a Johannesburg. C’è lotta, e l’esacerbarsi di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario.
Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio: equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario; equilibrio a sfavore delle nostre popolazioni. No, non possiamo essere complici. No, non possiamo accompagnare quelli che succhiano il sangue e vivono sul sudore della nostra gente; non possiamo accompagnarli nelle loro attività assassine.
Signor Presidente, sentiamo spesso parlare di club: Club di Roma, Club di Parigi, club dappertutto. Sentiamo parlare del Gruppo dei Cinque, dei Sette, dei Dieci, forse dei Cento o che so io. E’ normale che anche noi creiamo il nostro club e il nostro gruppo. Facciamo in modo che a partire da oggi anche Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del Club di Addis Abeba. Noi abbiamo il dovere di creare oggi il Fronte Unito di Addis Abeba contro il Debito. E’ solo così che potremo dire oggi che rifiutando di pagare non abbiamo intenzioni bellicose: abbiamo, al contrario, intenzioni fraterne; del resto i popoli d’Europa non sono contro i popoli dell’Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo dunque un nemico comune. Il Club di Addis Abeba dovrà dire agli uni e agli altri che il debito non sarà pagato. Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola, ma che noi non abbiamo la stessa morale degli altri.
Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale. La Bibbia, il Corano, non possono servire allo stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano. Noi non possiamo accettare che ci parlino di dignità, di merito verso chi paga e di perdita di fiducia verso chi non paga.
Noi dobbiamo dire, al contrario, che non è normale oggi che si preferisca riconoscere che i più grandi ladri sono i più ricchi. Un povero, quando ruba, non commette che un peccatuccio per sopravviere, per necessità. I ricchi, solo loro che rubano al fisco, alle dogane, sono loro che sfruttano il popolo. Signor Presidente, non è provocazione o spettacolo: dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe.
Chi non vorrebbe qui che il debito fosse semplicemente cancellato? Quelli che non vogliono farlo possono subito uscire, prendere l’aereo e andare subito alla Banca Mondiale a pagare. Lo vogliamo tutti! Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da “giovani” senza maturità e esperienza. Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo. Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un obbligo; e posso citare tra quelli che dicono di non pagare il debito, sia rivoluzionari che non rivoluzionari, sia giovani che anziani.
Per esempio Fidel Castro ha già detto di non pagare: non ha la mia età ed è rivoluzionario. Ma posso citare anche François Mitterrand che ha detto che i popoli africani non possono pagare. Posso citare la signora Primo Ministro di Norvegia: non conosco la sua età e mi dispiacerebbe chiederglielo. Vorrei anche citare il presidente Félix Houphouët Boigny: non ha la mia età, eppure ha dichiarato pubblicamente che, almeno il suo paese, la Costa d’Avorio, non può pagare, e la Costa d’Avorio è tra i paesi che stanno meglio, in Africa – almeno nell’Africa francofona. E’ per questo d’altronde che è normale che paghi un contributo maggiore qui [risate].
Signor Presidente, la mia non è quindi una provocazione. Vorrei che molto saggiamente Lei ci offrisse delle soluzioni. Vorrei che la nostra conferenza adottasse la necessità di dire chiaramente che noi non possiamo pagare il debito. Non in uno spirito bellicoso, o bellico: per evitare che ci facciamo assassinare individualmente. Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito io non sarò qui alla prossima conferenza. Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, potremo evitare di pagare, consacrando le nostre magre risorse al nostro sviluppo. E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano compra un’arma è contro un africano. Non contro un europeo, contro un asiatico.
Perciò dobbiamo anche, nella scia della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al problema delle armi. Io sono militare e porto un’arma. Ma, signor Presidente, vorrei che ci disarmassimo, perché io porto l’unica arma che possiedo: altri hanno nascosto le armi che pure portano.
Allora, cari fratelli, col sostegno di tutti potremo fare pace a casa nostra.
Potremo anche usare le nostre immense potenzialità per sviluppare l’Africa, perché il nostro suolo, il nostro sottosuolo, sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso, da Nord a Sud, da Est a Ovest. Abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare, o almeno prelevare la tecnologia e la scienza in ogni luogo in cui si trovano.
Signor Presidente, facciamo in modo di realizzare questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito. Facciamo in modo che, a partire da Addis Abeba, decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi poveri e deboli. I manganelli e i coltellacci che compriamo sono inutili. Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasportare in Africa, consumare in Africa. Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo invece di importarlo.
Il Burkina Faso è venuto qui a esporvi la cotonata, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso, per vestire il Burkinabé. La mia delegazione e io stesso siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c’è un solo filo che venga dall’Europa o dall’America. Non faccio una sfilata di moda ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano. E’ il solo modo di vivere liberi e degni.
La ringrazio, signor Presidente.
La patria o la morte. Vinceremo!”
L’articolo è molto interessante e profondo. Ho seguito anche il video allegato con un certo coinvolgimento e la mia riflessione è perchè i nostri uomini politici non sono così.Potessero vedere il video i nostri governanti e prenderne esempio come sarebbe diverso il mondo!