Tre millimetri e sessant’anni per la vita del mare
L’overfishing è vicina?
Nuove norme sulla dimensione delle vongole entrate in vigore all’inizio di questo 2017 e il ripescaggio di un documento in cui l’oceanologo Umberto D’Ancona, già nel 1957, cominciava a parlare di overfishing. Un confronto può fornire un “punto mare” sullo stato di vitalità dell’Adriatico
La notizia passata sui giornali è che a partire da gennaio, per tre anni, la dimensione minima delle vongole consentita alla pesca viene portata da 25 a 22 millimetri. Tre millimetri cruciali chiudono per il momento un’annosa (e animosa) controversia tra Roma e Bruxelles. Fanno festa i vongolari – 710 imprese per 1500 occupati – che eviteranno più facilmente le multe per avere pescato vongole sottomisura. Lo scopo della richiesta, però, non era rendere la vita più facile ai pescatori, quanto un asserito (da parte della Coldiretti Impresapesca) effetto del cambiamento climatico che ridurrebbe la dimensione delle vongole sotto quella consentita alla pesca, pur senza ridurne la fecondità.
Non sono dello stesso parere studiosi e ricercatori – tra tutti Roberto Danovaro, docente di biologia ed ecologia marina dell’Università Politecnica di Ancona. La norma dei 25 millimetri, in vigore prima della modifica, era stata stabilita su basi scientifiche e ad oggi non ci sono studi che possano smentirla. In particolare, la capacità di riprodursi delle vongole ha inizio dalla dimensione di 14, ma varia a seconda delle dimensioni in progressione esponenziale.
Ad ogni buon conto, Enrico Brivio, portavoce del commissario UE alla pesca Karmenu Vella, fa sapere che comunque la disposizione consentirà “un futuro economicamente sostenibile per i pescatori italiani”; e ragionevolmente se ne potrebbe ricavare che anche le vongole ne siano interessate, senza le quali non avrebbe un futuro nemmeno chi le pesca.
Nella speranza dunque che la cosa dimostri quella ragionevolezza che al momento fatichiamo a rinvenire, mi piacerebbe che il lettore non perdesse l’occasione per ricostruire, con la brevità e la chiarezza di un grande scienziato, l’origine della preoccupazione per il depauperamento del mare e il suo percorso, in modo da farsene un’idea orientativa e compendiaria. Ho quindi dedotto brani da un discorso pronunciato da Umberto D’Ancona alla Fiera della Pesca del 1957. Aveva 61 anni l’oceanologo che aveva offerto a Vito Volterra, incidentalmente suo suocero, ogni informazione necessaria per delineare un rapporto matematico nella competizione tra le varie specie (incluso l’Homo piscator) che convivono nell’ecosistema marino, attraverso le famose equazioni del 1926. Volterra era morto ottantenne nel 1940.
[Umberto D’Ancona: libertà delle scienze]
« […] Ho finora parlato di indagini talassografiche quale mezzo di conoscenza scientifica, senza fare alcun riferimento all’utilità di tali conoscenze. L’indagine scientifica si deve dedicare alla ricerca del vero senza immediate preoccupazioni dell’utilità pratica che ne può derivare. Le più grandi scoperte scientifiche, quelle che possono modificare il corso della storia e imprimere nuovi orientamenti al pensiero umano, non hanno mai avuto immediate finalità applicative. Un’idea che modifichi la nostra concezione dei fenomeni naturali è spesso foriera di ben maggiori applicazioni che una piccola scoperta o invenzione di utilità immediata.
Perciò si deve promuovere l’indagine scientifica senza pretendere di orientarla a fini applicativi; le applicazioni deriveranno in seguito dai principi teorici che regolano i fenomeni presi in considerazione.
Nell’esplorazione del mare dobbiamo preoccuparci in primo luogo di conoscere i fenomeni fisici e biologici che in esso si svolgono. Tali conoscenze saranno sempre di utilità pratica per quelle attività umane che traggono dal mare la loro origine o nel mare trovano il loro scopo.
So di parlare in una città che al mare ha sempre rivolto la sua vigile attenzione e che in questi ultimi anni in particolar modo ha accentrato il suo interesse sulla pesca con la creazione di una ben attrezzata flottiglia peschereccia e con la organizzazione della Fiera della Pesca, che tanto contribuisce a valorizzare questo ramo troppo negletto della nostra economia.
[Umberto D’Ancona: servono programmi]
So perciò che voi desiderate sapere quali contributi l’indagine talassografica può dare allo sviluppo della pesca. E di questo argomento sono lieto di poter parlare perché sono consapevole della necessità di imprimere alla pesca italiana un indirizzo razionale, capace di portarla al massimo rendimento.
Devo però premettere che nel settore della pesca le cose non vanno da noi nel migliore dei modi possibili. Da noi la pesca è ancora sempre considerata esclusivamente e prevalentemente sotto gli aspetti tecnologico, economico e sociale, ma non sotto quelli talassografico e biologico. I provvedimenti in favore della pesca, che vengono annunziati o vengono richiesti dagli interessati, consistono essenzialmente in opere assistenziali o di costruzione di naviglio. Certamente anche questi provvedimenti sono indispensabili, ma troppo spesso essi hanno il carattere di provvidenze per i disoccupati e di impiego di manodopera, senza che vi sia un vero programma in favore della pesca, considerata quale industria produttiva. Una prova della mancanza da noi di una chiara politica della pesca ci è data dallo stato di incomprensibile dispersione dei dicasteri che si devono occupare di tale attività. In altri paesi esistono ministeri o sottosegretariati alla pesca; da noi, che pure siamo un paese marinaro, non abbiamo neppure una direzione generale dedicata in modo esclusivo alla pesca.
Ma non è di queste questioni burocratico-amministrativo che io desidero parlarvi, bensì delle direttive che dovrebbero essere seguite per dare un impulso alla nostra pesca e per organizzarla con saggi criteri produttivi.
[Umberto D’Ancona: conoscere i pesci]
La pesca marina è un’industria che, similmente a quella forestale, deve proporzionare la sua capacità produttiva all’incremento naturale del prodotto.
Il mare non è popolato di pesci in modo uniforme e illimitato; essi sono presenti in quantità finita e sono raggruppati per ciascuna specie in popolazioni che occupano aree definite, più o meno estese.
Ciascun anno ognuna di queste popolazioni aumenta per effetto della riproduzione, di una determinata quantità. Gli individui che nascono costituiscono una classe di età; da un anno all’altro essi aumentano di grandezza per accrescimento individuale e a un certo momento raggiungono la grandezza necessaria per divenire commerciabili ed essere quindi oggetto di pesca. La popolazione consta dunque di uno più classi di età non pescabili formate dagli individui giovani e da un certo numero di classi pescabili formate da quelli che hanno raggiunto una determinata grandezza. Quest’ultima parte della popolazione, che costituisce il cosiddetto “stock” pescabile, aumenta quindi ogni anno per reclutamento di nuovi individui e per accrescimento di quelli che già ne fanno parte.
Il medesimo stock viene d’altra parte ridotto ciascun anno per mortalità naturale e per effetto della pesca. Se la somma di queste ultime due quantità non supera quella dell’accrescimento e del reclutamento conseguente alla riproduzione, lo stock si mantiene invariato.
[Umberto D’Ancona: overfishing]
La pesca, onde non diminuire la disponibilità di pesci per gli anni venturi, non deve dunque attingere dal mare quantitativi superiori alla differenza tra l’aumento per moltiplicazione e accrescimento e la diminuzione per mortalità naturale. Se si pescano quantità maggiori di tale differenza si ha un graduale depauperamento dello stock pescabile. Si ha allora la cosiddetta “soprapesca”, che porta a una diminuzione del pescato complessivo, a una diminuzione del prodotto in rapporto alla unità di lavoro, a una diminuzione di grandezza dei pesci.
Primo problema da risolvere per qualsiasi razionale organizzazione peschereccia è quindi la determinazione dei limiti entro i quali la pesca può essere intensificata senza pregiudizio per la protezione futura.
[Umberto D’Ancona: rilevamento e statistica]
Nei nostri mari, e così nell’Adriatico, due sono i tipi di pesca particolarmente importanti: l’uno è la pesca con le reti a strascico, che catturano svariate specie di pesci da fondo, l’altro è la pesca con reti di circuizione che catturano pesci pelasgici.
Per ciascuna delle specie più comuni e più importanti dal punto di vista economico dovrebbe essere determinata l’entità delle popolazioni che le costituiscono e la disponibilità cui l’uomo per mezzo della pesca può attingere.
Tale disponibilità annua non è evidentemente stabilizzata in modo assoluto, ma è soggetta a variazioni climatiche, idrigrafiche, biologiche. Per cui tutti i dati devono essere basati non su determinazioni singole, ma su medie ricavate da rilievi effettuati durante più anni. Soltanto una sorveglianza della produzione peschereccia compiuta per più anni ci permetterà di conoscere l’entità degli stock pescabili.
Tale conoscenza sarà data in primo luogo da un accurato rilevamento statistico basato sul prodotto sbarcato e sulla produzione di mercati. La statistica della pesca, che oggi da noi ha un valore prevalentemente economico, deve essere perciò perfezionata in modo da divenire un utile strumento in mano ai biologi e ai tecnici della pesca per disciplinare lo sfruttamento delle risorse ittiche marine.
I dati statistici dovrebbero essere poi integrati con quelli più particolareggiati raccolti in periodiche crociere di pesca, dirette a stabilire la struttura delle popolazioni ittiche suddivise in classi di età. Periodici rilevamenti di grandezza, età e sesso delle popolazioni ittiche ci permetterebbero di valutare con efficiente precisione le variazioni nel tempo dele popolazioni ittiche. Molto utili sarebbero inoltre le marcature dei pesci, specialmente di quelli migratori, per seguirne gli spostamenti in rapporto alle condizioni ambientali».
[La lettura di questo bel brano non rivela solo l’estrema pulizia mentale del grande biologo marino, ma anche la sua capacità di ordinare predittivamente cose che ancora oggi trovano risposte negli ambienti scientifici più che in quelli politici e decisionali. Gli strumenti da lui indicati sono all’opera, integrati di nuove funzionalità nel rilevamento e nel trattamento dei dati; tuttavia i sessant’anni che ci separano da questo testo segnano uno scivolamento precipitoso oltre la linea di base della predizione. Sarebbe forse importante che chi legge riuscisse a valutarne gli scostamenti].
Leonardo Badioli