Trivelle uguale terremoti, ovvero trivelle uguale non terremoti
“La presenza di giacimenti produttivi indica che le sottostanti faglie sismogeniche non sono in grado di generare forti terremoti”. Con questa rassicurante affermazione “Le scienze” del novembre dell’anno scorso presentava lo studio di Mario Mucciarelli, Federica Donda e Gianluca Valensise pubblicato da Natural Hazards and Earth System Science rivista della European Geophysical Union sotto il titolo: “I giacimenti di metano in Italia, un’assicurazione contro i terremoti?” Si tratta di uno studio condotto da OGS-INGV – rispettivamente Istituto Nazionale di Oceoanografia e di Geofisica Sperimentale, e Instituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – i cui risultati spiegano come la presenza di giacimenti produttivi di metano possa indicare che le sottostanti faglie sismogeniche, lungi dal rappresentare un pericolo, sono invece un conforto per chi teme pericoli di questo genere.
Uno spot per le trivellazioni?
La questione come senigalliesi ci riguarda in vari modi. Perché la nostra città è sensibile ai terremoti e ne ha consistente esperienza. Perché gli autori dello studio in questione sono tra quelli che hanno studiato il terremoto del trenta e ne hanno fatto un modello estensibile ai fini della microzonazione contro il rischio sismico. Perché poi il territorio comunale e il mare che gli sta di fronte sono compresi in attività di estrazione e stoccaggio in essere o divenire – concessione Montignano a Gasplus e stoccaggio di anidride carbonica CCS Sibilla – . Perché sotto l’area di Sibilla, 218 Kmq sotto il fondo marino c’è una bella faglia, proprio quella che ha provocato il terremoto del 1930. Perché il concittadino Stefano Gresta è presidente emerito dell’INGV, in carica fino all’avvicendamento, il 28 aprile di quest’anno, dell’attuale presidente Carlo Doglioni, dunque effettivo ed operante al tempo dello studio. E, infine, perché per due volte nei due anni trascorsi Maria Rita D’Orsogna, fisico italo-americano che si batte contro la petrolizzazione del mondo, ha tenuto a Senigallia conferenze su stoccaggi e trivellazioni. Per fortuna questo è avvenuto prima che fosse pubblicato lo studio; altrimenti l’avremmo sentita sprigionare tutta la sua indignazione come poi l’ha fatto, nel settembre scorso, dal suo blog tematico “No all’Italia petrolizzata”. “Oddio, non so se siano risate o lacrime. Ma come ci pensano a certe cose?”
Ecco qui. Studi recenti dell’INGV dicono che “la presenza di giacimenti produttivi indica che le sottostanti faglie sismogeniche non sono in grado di generare forti terremoti.” Ovviamente solo in Italia, eh?
Quello che e’ interessante e’ che l’articolo si apre con la seguente domanda:
“Come conciliare l’opportunità di utilizzare le risorse energetiche che il territorio offre con il diritto alla sicurezza di tutti i cittadini?”
Come dire: dobbiamo per forza “conciliare” e trovare un modo per fare coesistere queste “risorse” energetiche con il ricordo, la paura e i danni del terremoto emiliano del Maggio 2012. E qui, in questo articolo, c’e’ la risposta. Infatti quale altro metodo migliore che non un bell’articolo dell’INGV dove è, ovviamente, tuttapposto? E anzi, il titolo dice chiaramente che la presenza di giacimenti di metano sono una “assicurazione” contro i terremoti. Addirittura.
Ad annunciare cotanta scienza, un gruppo dell’ INGV come detto prima e dell’OGS, che stanno per Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale: Marco Mucciarelli e Federica Donda dell’OGS di Trieste e Gianluca Valensise dell’INGV di Roma. Dicono di aver scoperto un meccanismo che lega la presenza di giacimenti di metano ai processi geologici che hanno permesso l’accumulo di metano, e che al contempo generano i terremoti.
Il nostro trio dice ha scelto un sito in Pianura Padana di 10.000 chilometri quadrati attualmente adibito ad estrazione di metano e che è soggetta a terremoti, incluso quelli del 2012. Hanno poi preso in considerazione 455 pozzi produttivi ed improduttivi e li hanno messi in correlazione con i terremoti del 2012 e quelli piu’ remoti del 1570 a Ferrara e del 1624 ad Argenta. Cosa trovano? Anticorrelazione. E cioe’ che i pozzi sopra alle faglie sono improduttivi. Per i pozzi che sono lontano dalle faglie invece sono produttivi il 46%. Come mai? Semplice. Testuali parole:
“Un forte terremoto è necessariamente causato dallo scorrimento relativo dei blocchi di roccia che formano una faglia di grandi dimensioni. E attraverso terremoti successivi questa faglia può fratturare il serbatoio naturale che contiene il metano, causandone la dispersione e rendendo improduttivo il giacimento. I giacimenti produttivi si troverebbero invece sopra faglie più piccole, in grado di causare solo terremoti più modesti, o in corrispondenza di faglie più grandi ma incapaci di generare terremoti per la particolare natura delle rocce che le formano”.
Non ho ben capito la logica: un terremoto porta alla faglia che “frattura” un serbatoio naturale? Eh? Vogliono dire che il terremoto porta la faglia a spaccare il giacimento e che quindi dopo il metano fuoriesce? E che quindi, dopo che si e’ svuotato non resta piu’ niente e quindi il giacimento e’ improduttivo? Ma di questa supposta spaccatura iniziale non ci dobbiamo preoccupare? O le spaccature sono già tutte successe millenni fa?
E che vuol dire che i giacimenti produttivi sopra le faglie naturali sono “incapaci di generare terremoti per la particolare natura delle rocce che le formano”? Qual è questa particolare natura? E davvero loro sanno che se tu estrai, riempi, reinietti, per anni ed anni, questa roccia mai e poi mai avrà problemi? Solo in Italia abbiamo questa roccia speciale?
E ancora, che vuol dire che i giacimenti produttivi sono sulle faglie più piccole in grado di causare “terremoti piu’ modesti”. Che vuol dire piu’ modesti? Di che intensita’? Loro possono garantire una soglia? Qual e’ questa soglia? E se si, come fanno a sapere che non verra’ mai superata?
E poi interessante che interpretino questa supposta anticorrelazione a loro favore. Se vi ricordate, quando si e’ parlato di correlazione a ICHESE, subito tutti a dire “correlation is not causation”, cioe’ che la correlazione trivelle/terremoti non significa che le trivelle causino i terremoti. Solo che le due cose, per puro caso, sono correlate, e seguono gli stessi andamenti spazio-temporali. Ma se per ICHESE la correlazione non significava trivelle e reiniezione = teremoti, perche’ qui invece l’anticorrelazione significa trivelle = niente terremoti? Mistero della fede.
Comunque, dopo avere spiegato questo “meccanismo assicurativo” contro i terremoti, gli autori di Le Scienze spiegano che ovviamente questo ha ricadute applicative. E cioe’ che le faglie che potrebbero scatenare terremoti sono solo quelle dove i giacimenti di metano non sono produttivi [e l’area di Sibilla risultò effettivamente sterile alle perforazioni avvenute nel 1969, n.d.r.]. D’altro canto, un giacimento produttivo non può trovarsi al di sopra di una faglia in grado di produrre un forte terremoto – dunque pericolosa – e ovviamente non vi è alcun interesse economico a sfruttare giacimenti quasi certamente improduttivi.
Ah! Eccoci qui. Tuttapposto allora! Siccome i giacimenti produttivi non possono assolutamente stare sopra ad una faglia attiva, li possiamo sfruttare perché non sono pericolosi! Dunque ecco qui la conciliazione tanto agognata: possiamo ora riconciliare l’utilizzo delle risorse energetiche del territorio con il sacrosanto diritto alla sicurezza per tutti i cittadini.
Questi studi, sono finanziati dalle tasse del contribuente italiano, che non solo deve sentire che in Italia, unico paese al mondo, la sismicita’ indotta non esiste e non esistera’ mai, ma anzi, che trivellare ed estrarre metano e’ una assicurazione contro i terremoti!
Senza parole. Si vede che l’EPA, l’USGS, il Prof. Cliff Frohlich del Texas, la Schlumberger che annuncia la sismicità indotta nei suoi campi di gas in Russia, e pure la Exxon e la Shell che hanno pagato 5 miliardi di dollari agli olandesi per avere innescato terremoti a Groningen con le loro trivelle, quelli non capsicono niente e ci vuole lo studio dell’INGV a chiarare le cose e a farci stare tranquilli. Senza parole. Ma il fatto e’ che nonostante quelli che io reputo deliri, noi altri persone di buon senso sappiamo che la verita e’ un altra.
Le trivelle, la reiniezione possono causare terremoti, non sempre e non dappertutto, ma possono. Possono anche non innescarla, certo. Ma le dinamiche del sottosuolo sono troppo sconosciute affinché noi possiamo veramente predire cosa accadra’ fra 5, 10, 20, 30 anni di trivelle e di reniezione. Quindi, il rischio esiste, e sta a noi decidere se e per cosa ne valga la pena.
Tutto qui. A mio modesto parere non esiste nessuna “assicurazione” contro i terremoti, e men che meno puo’ esserlo un pozzo di gas. Con tutti i suoi difetti, God bless American Science. Insomma, non precisamente un attestato di stima verso l’Istituto dei geovulcanologi.
Per parte sua, c’è l’emerito presidente a tenerlo su: “La scienza non dà certezze”, aveva dichiarato al giornalista Franco Foresta Martin in un’ intervista ai primi tempi della sua gestione. “Man mano che si approfondiscono le conoscenze, se si è rigorosi, aumentano anche i dubbi. Dal punto di vista applicativo, però, noi oggi come INGV siamo in grado, per quanto riguarda il terremoto, di ben definire la pericolosità sismica di un’area. Questo è – non per noi, ma a livello mondiale – il massimo che si può fare. Il compito poi sta in chi deve ridurre la vulnerabilità degli edifici e l’esposizione del territorio al rischio, e a chi programma l’utilizzo del territorio”.
Tra i due pareri, come si può ricavare, il distanziale è il petrolio. Chissà se si potrà metterli d’accordo quando non c’è di mezzo quello. Da tempo ormai aspettiamo che i piani regolatori dell’edilizia cittadina possano avvalersi di una microzonazione della risposta sismica che può variare molto anche a una distanza di cento metri.
Leonardo Badioli
Ovviamente questo ragionamento non riguarda il terremoto appenninico tuttora in corso, non riferibile a fattori antropici.
Nota 1:
In tema di CORRELAZIONI una fonte di dubbio se non di certezze (ma anche tra dubbio e certezza una correlazione c’è!) consiglierei una visita al sito di Maria Rita D’Orsogna: http://dorsogna.blogspot.it/2016/11/i-terremoti-dellitalia-centrale-e-le_3.html. La correlazione è data da una sovrapposizione diacronica delle aree terremotate e dei perimetri delle concessioni a estrarre gas o petrolio.
Nota 2:
Lo INGV non ama confrontarsi con gli studi internazionali e preferisce produrne di propri. Ce ne sono tanti, tantissimi a partire dal 2012, ma l’Istituto non se ne dà per inteso.
Nota 3:
La questione è vista sempre e solo in relazione all’estrazione di idrocarbuti. Ma c’è anche lo stoccaggio imputabile di innesco sismico. DI idrocarburi (PLUGAS a S. Benedetto del Tronto) e di CO2 (Sibilla, nel mare davanti a Senigallia). Quindi la trovata dell’INGV è quanto meno limitata a una sola circostanza.
In questo caso particolare la faglia sottostante l’area di stoccaggio è quella che provocò il terremoto del ’30. Come hanno fatto i tecnici a produrre e gli enti preposti a convalidare una V.I.A. in cui l’area è ritenuta a “sismicità debole o nulla”? Una lettura del progetto e relativi documenti non sarebbe inutile.