Una storia che fa acqua da tutte le parti
Capolavoro dell’acquedotto marchigiano:
è costato 55 milioni e serve metà dei comuni.
Che però lo pagano
Il progetto di collegare con una rete idrica 22 comuni marchigiani risale agli anni Settanta. I finanziamenti all’acquedotto arrivano col contagocce, si fermano i lavori. Oggi metà dei comuni che l’hanno pagato (e lo mantengono con la bolletta) non vedono una goccia e sono costretti a estrarre e bonificare l’acqua da altri invasi. La Regione che ha contribuito alla realizzazione si mette di traverso negando la richiesta di aumentare la portanza e completare l’opera. Sullo sfondo l’interesse delle concessioni per lo sfruttamento idroelettrico.
E’ costato la bellezza di 55 milioni di euro, in gran parte pagati in bolletta dai cittadini di 22 comuni marchigiani delle province di Macerata e Ancona. A distanza di 50 anni però l’acquedotto ne serve solo la metà e gli altri, pur avendo contribuito a costruirlo e a mantenerlo, non vedono una goccia d’acqua che sia una. E forse non la vedranno mai. Perché? Perché la Regione, che pure ha contribuito all’opera, ha bocciato la valutazione di impatto ambientale (Via) del potenziamento proposto dalla Società acquedotto del Nera, lasciando così i comuni non raggiunti dal servizio a rifornirsi da un altro invaso dal quale deve essere estratta e depurata. Mentre proprio lì accanto passa quella purissima del fiume che scende naturalmente dai Sibillini. La stessa acqua che fin dal progetto degli Settanta, poi ancora nel 1981 e quindi nel 2003 si era deciso di distribuire a tutte le popolazioni delle valli fino al mare. Ma non arriva mai.
I lavori partirono effettivamente nel 1986, l’anno di Chernobyl, dell’Argentina campione del mondo. Di Sindona e del primo Dylan Dog. Ma si interrompono poco dopo i primi 40 km dei 226 previsti perché i finanziamenti all’acquedotto procedono goccia a goccia, scatta il fermo per mancanza di soldi. Stop a progettazione e lavori, come si evince anche dal sito del consorzio dei comuni. Il completamento dell’intero schema idrico richiede investimenti per complessivi altri 45 milioni. Seguono nuovi impegni, promesse e progetti fino alla richiesta nel 2016 di aumentare la portata del bacino e ultimare la rete che viene però cassata dal niet della Regione e ora è rimessa al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche di Roma cui l’ente ha fatto ricorso, l’udienza a gennaio. Insomma, una storia arcitaliana che fa acqua da tutte le parti e in ultimo vede la perla di un cambio al vertice con il presidente che è espressione dei comuni con l’acqua e di un vice che rappresenta quelli senza. Il bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno che devono dare un senso a tutto questo.
A denunciare la situazione – tra gli altri – è Roberto Ascani, sindaco M5S di Castelfidardo che è uno dei comuni rimasti a bocca asciutta pur facendo parte del consorzio ed esprimendone addirittura il presidente. “Siamo di fronte a un’incompiuta che si trascina dietro una serie incredibile di paradossi”, dice il primo cittadino del comune marchigiano. “Il primo è che con questo blocco in sostanza si costringono i comuni a mantenere l’impianto costato già decine di milioni senza trarne alcun beneficio, perché di fatto qui si paga l’acqua due volte. Quella pulitissima del Nera che non possiamo usare e quella che ci tocca estrarre e bonificare da altro bacino non esente da problemi tra nitrati, alga rossa e fluoruri. Non si è capito se le fumose e molto discutibili motivazioni con cui la Regione si è messa di traverso originino da un reale interesse pubblico o se dalla pressione che possono aver esercitato interessi diversi, come quelli per lo sfruttamento idroelettrico del bacino e relative concessioni ai privati”.
Di sicuro la questione però è ben lontana dall’essere risolta, sia perché ci sono i ricorsi pendenti e sia perché alcuni comuni beffati dalla logica dell’incompiuta starebbero valutando di uscire dal consorzio cui non più tardi di dieci anni fa hanno ridato ossigeno, versando 15 milioni di euro come aumento del capitale sociale. Ma non ce la fanno più a vedersi addebitare solo i costi di investimenti che finiscono in bolletta. La bile scorre più dell’acqua tra le valli, e infatti oggi c’è chi addirittura pensa a farlo fallire per poi chiedere i danni. “Ufficialmente non è ancora stato comunicato ma anche a me arrivano segnali in questo senso, di una possibile rottura nella compagine tra i soci-comune che beneficiano dell’acquedotto e gli altri. Sarebbe una sconfitta pesantissima per il pubblico”, dice il presidente della società Paolo Giacomucci. Che aggiunge: “Respingendo la richiesta di aumentare la portata dagli attuali 150 litri al secondo a 550 la Regione ha di fatto bloccato la costruzione dell’impianto di distribuzione: l’opera definitiva potrebbe non vedere la luce, vanificando gli investimenti fatti finora, e quella che resta rimanere ampiamente sovradimensionata rispetto ai bisogni”. Insomma, uno spreco. O forse un guadagno, per altri. Perché il fiume dalla dorsale marchigiana corre giù verso quella adriatica e porta al Tirreno, “lungo quel percorso è plausibile che ci siano portatori di interessi contrapposti”.
Si tenta allora il compromesso. Sono appena state rinnovate le cariche sociali della società di gestione e i nuovi vertici cristallizzano di fatto l’assurda divisione tra comuni serviti e non. Il presidente è l’ex assessore del Comune di Macerata, servito dall’acquedotto. Il suo braccio destro è proprio Giacomucci di Castelfidardo che non ha mai visto una goccia d’acqua. Entrambi si ritrovano a gestire il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto del Nera. Che per tutti è un costo, ma disseta solo qualcuno.
da Ilfattoquotidiano.it, di Thomas Mackinson , 21 novembre 2017
Mi pare che l’articolo del giornalista dal nome inglese si occupi di acqua come di qualsiasi altra cosa che implica alta spesa e bassa efficienza “tipicamente italiana”. Mi pare che lo stesso faccia il Sindaco di Castelfidardo: abbiamo pagato e non abbiamo visto niente. Come dar loro torto? Mi sento però di aggiungere un’osservazione in termini di equilibrio dinamico dei territori che non può essere – io credo – ignorata. E dico subito che se ci fossero interessi contrapposti tra servizio idrico e sfruttamento idroelettrico (= energia pulita), io mi schiererei decisamente per il secondo. Non certo perché l’energia sia più importante della sete, ma proprio perché l’acqua è bene primario e va tutelato anziché sprecato. Ho sempre pensato che prendere l’acqua alla montagna, farla passare attraverso tubi anziché in fossi e fiumi. per portarla alle città fosse un lusso per noi rivieraschi, fattore di un così grande squlibrio ambientale da farci preferire di non averla. Perché il grande regime acquedottistico della legge Galli e seguenti ha sostituito nell’uso e nella cura i pozzi di fondovalle dei quali le varie comunità si servivano per la propria rete idrica locale . Da quando funzionano i grandi acquedotti che portano acqua “minerale” i fiumi sono vuoti (andate a guardare l’Ambro e il Tenna e fate il confronto), non c’è più depurazione naturale; non c’è più forza motrice per il trasporto di materiali da ripascimento delle spiagge (donde una maggiore erosione) e manca l’acqua per l’irrigazione (peraltro fatta scriteriatamente). Tutto questo per servire acqua per tanti usi che non valgono la sua purezza. In questo modo l’acqua intubata libera da molti pensieri chi si trova a gestire il territorio: l’acqua viene dal monte bella pulita e noi possiamo continuare a inquinare le valli e le pianure, le cui acque sono piene oggi di ogni schifezza chimica e non più potabili. Per questi motivi starei attento a non esagerare con il prelievo dell’acqua alla montagna e con l’allargamento della rete idrica con aumento di portata. Serve invece un piano che progressivamente recuperi i vecchi pozzi (migliorando la qualità idrica complessiva e ripulendo l’agricoltura dall’uso di fertilizzanti e pesticidi) e renda meno gravoso il prelievo sul sistema idrico naturale. Non critico dunque il contenuti espressi dal giornalista e dal sindaco, ma voglio ricordare che il problema dell’efficienza è solo un aspetto della gestione idrica come bene comune. Forse bisognerebbe con vincere i decisori che nemmeno una goccia d’acqua deve essere banalizzata. Corre l’obbligo però di ricordare che il mondo sta andando sempre più verso la concentrazione industriale in ogni gestione. E’ facile dunque prevedere che l’acqua, trasformata in merce, diventerà scarsa come oltre altro bene e, dipendendo da fatti naturali, andrà a finire. Interessante, a riprova, constatare come la durezza dell’acqua di Gorgovivo sia aumentata con il passare del tempo e con l’incremento della rete.